«L’Italia aderisce alla Convenzione internazionale che vieta la produzione, il trasferimento e lo stoccaggio delle munizioni a grappolo. Nel quadro dei valori espressi dall’Alleanza Atlantica, l’Italia auspica l’applicazione universale dei principi della Convenzione. Ribadisco la condanna dell’Italia alla guerra d’aggressione della Russia, il supporto totale e costante alla resistenza dell’Ucraina, l’impegno con gli Alleati per costruire un nuovo e piu’ forte modello di sicurezza per l’Europa». Cosi’ in una nota il presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni.
Kiev, come Mosca e Washington, non ha mai aderito alla Convenzione internazionale di Oslo del 2008 contro le munizioni a grappolo, ma sa bene quanto il tema sia scivoloso. «Abbiamo principi chiave di cui sono stati informati per iscritto i partner», chiarisce il ministro della Difesa ucraino Oleksiy Reznikov mentre si impegna a tenere un registro delle zone di impatto e a impiegare queste munizioni solo per liberare l’Ucraina. La promessa è che queste armi «non saranno utilizzate sul territorio russo ufficialmente riconosciuto, ma solo nelle aree in cui si concentrano le forze armate russe, per sfondare le linee di difesa nemiche».
Le munizioni a grappolo sono armi progettate ed utilizzate per colpire persone e veicoli, ma anche per distruggere piste di atterraggio o linee elettriche o, ancora, per liberare sostanze chimiche. Esse vengono sganciate, in genere, da velivoli (caccia, bombardieri o elicotteri) o, talvolta, lanciate per mezzo di artiglierie, razzi e missili guidati, e contengono un certo numero di submunizioni che, all’esplosione dell’ordigno principale (cluster), che avviene in aria, vengono disperse, secondo diversi sistemi, a distanza (anche per lunghissimo raggio), esplodendo poi a loro volta, arrivate a contatto col suolo, provocando così anche l’uccisione di numerosi civili, già nell’immediato.
«Il problema, però – spiega all’Adnkronos l’avvocato Marco Valerio Verni, responsabile Area Diritto di Difesa Online – è che a volte, anzi spesso, esse non esplodano, come denunciato, peraltro, da diversi organismi internazionali,tra cui, ad esempio, il Comitato internazionale della Croce Rossa (secondo il quale ben il 40% delle bombe a grappolo rilasciate in alcuni recenti conflitti non sarebbero esplose), rimanendo dunque nel terreno, o dove che sia – prosegue- finendo con il costituire, come si può ben immaginare, un pericolo, al pari di vere e proprie mine, per chiunque possa ad esse avvicinarsi, non sapendone dell’esistenza, anche in un futuro molto lontano dal loro sganciamento e caduta al suolo. Con le conseguenze che tutti possono facilmente comprendere:ossia,anche qui, uccisione indiscriminata o mutilamento di persone»