Daniele: “La diplomazia del buon viso e cattivo gioco, delle lavate di faccia, dei pranzi e dei rinfreschi non mi ha mai appassionato, tanto meno ha mai prodotto grandi risultati. Anche perché una mentalità non la si può cambiare. Meglio ognuno a casa propria”

Gaetano Daniele – La Pecora Nera

By Gaetano Daniele

Ormai è accertato. Viviamo in un epoca strana. Il mondo va a puttane ma non si può andare a mignotte. Eppure ci sono. Io le vedo, dappertutto. E spesso mi tocca coprire con la mano gli occhietti ingenui ed angelici di mio figlio onde evitare di far assistere lui a scene indecorose. Ma questo è il male minore. Perché prima o poi anche mio figlio dovrà metabolizzare che esistono le puttane. Coloro le quali vendono sé stesse, il loro corpo in cambio di soldi. Molte costrette dalle famiglie. Altre obbligate dalla criminalità organizzata. E quest’ultime come le penultime vanno aiutate. Le prime invece vanno lasciate perdere. È una loro mentalità e difficilmente le cambi. Anzi. Se fosse per me le legalizzarei. E con quei soldi abolirei tante tasse inutili. Ad esempio il bollo auto. Il canone Rai in bolletta (che rapina), e abbatterei le accise.

Tornando al mondo che va a puttane, tra Covid e guerra, non solo quella in Ucraina, l’intervista del ministro Lavrov a Rete4 ha giustamente sollevato un vespaio e indignato molti in tutto il mondo. I quaranta minuti d’intervento sono stati definiti un comizio propagandistico e le sue considerazioni, sulle stragi in Ucraina, sul gruppo Wagner e su Hitler, “mi risulta ebreo”, sono state già catalogate come fake news. Giusto. Ma se esiste la libertà di parola poi perché vogliamo stupirci? Riallacciandomi alle puttane, molte prima di essere etichettate tali, tendono ad appiccicare la loro professione finanche ad una suora. È la loro arte. La loro mentalità. E non la cambi. Quella di Lavrov è stata un’intervista altamente provocatoria. Un regalo inaspettato per tutti gli anti russi. La sua fama di abile diplomatico più che un flop ha fatto centro. Per non tralasciare il fatto che se lo può permettere ed è abbastanza navigato da ricordare che la diplomazia dei pranzi e rinfreschi non ha mai prodotto grandi risultati. Se non quella dei rutti alle spalle.

L’abile e moderato Tareq Aziz mediatore di Saddam Hussein è morto in carcere. L’accordo di Dayton sulla ex Jugoslavia non sarebbe mai stato firmato se i tre presidenti di Bosnia, Croazia e Serbia non avessero avuto la pistola alla tempia del “diplomatico” Holbrooke. L’intervista ha avuto un minimo merito: ha reso molti italiani più consapevoli di cosa sia la guerra dell’informazione che stiamo combattendo sul nostro territorio da oltre due mesi. È bastata una sola uscita fuori posto, antidiplomatica e volutamente cattiva di Lavrov per dimostrare quanto la propaganda sappia essere cinica, violenta e rozza. Tutte le teorie sulla manipolazione delle coscienze o dei fatti e sulla forza dei messaggi subliminali o delle metafore e dei trucchi psicologici usati dalla propaganda politica o dal marketing si sono infrante in quaranta minuti di discorso-comizio.

Il cane da presa non ha lasciato spazio ad alcuna interlocuzione, ha detto ciò che ha voluto e non ciò che avremmo voluto sentire (ma cosa avremmo voluto sentire?). Ci ha sbattuto in faccia l’acredine di chi si sente tradito da un popolo che riteneva amico. Un popolo che i russi rispettano non perché ne condividono le scelte politiche, ma perché depositario e portatore di una cultura umanistica e artistica da essi considerata superiore, unica. Un popolo che ancora ammirano ma che appartiene a uno Stato che oggi è loro nemico: in guerra. Senza tanti giri di parole o alterazioni semantiche ha sfoderato tutte le verità di regime che giustamente in quanto tali non sono mai verità assolute, intercalate a bugie di regime anche queste mai assolute. Un altro punto di merito dell’intervista è quello di aver attirato l’attenzione sulla vulnerabilità alle manipolazioni della nostra opinione pubblica sempre restia a sentirsi in guerra finché non le si spara addosso e anche dopo. Churchill diceva che gli italiani vanno alla guerra come se andassero allo stadio e allo stadio come se andassero in guerra. In ogni caso ci sentiamo sempre e soltanto “spettatori” di fronte a qualsiasi combattimento.

Lavrov ha detto chiaramente che in guerra ci siamo anche noi, in campo e non in tribuna. E non ci dovremmo meravigliare se l’amico diventato nemico ci tratta come traditori o imbecilli. Di fronte a questi messaggi diretti e senza fronzoli si è aperta la discussione sulla libertà d’informazione. Ci sarà un’inchiesta e probabilmente saranno prese ulteriori misure drastiche per il controllo della propaganda russa, in Italia e nel mondo. Sarà difficile che il diritto all’informazione ne esca vivo mentre è probabile che continui la negazione di una propaganda per favorirne un’altra, la nostra, che comunque anch’essa ci tratta tutti da imbecilli. Le misure non saranno certo quelle già adottate dai russi sul fronte interno, noi non arriveremmo mai a tale barbarie: 15 anni di galera per una notizia falsa? No, da noi c’è già l’ergastolo e non lo sappiamo. Se si parte dal presupposto che siamo in guerra, in piena guerra dell’informazione, oltre a quella indiretta (per adesso) con le armi, aver aperto una via alla propaganda avversaria è già un crimine perseguibile penalmente. In questo campo, la nostra giustizia non è meno drastica e stringente perché democratica.

Le norme restrittive e punitive riguardanti la sicurezza dello stato dei paesi democratici in guerra sono simili a quelle dei regimi autoritari, come si può constatare osservando le leggi draconiane di paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia tanto per citare i più blasonati in fatto di democrazia. Senza considerare le disumanità (legali e illegali: maccartismo, sequestro, tortura, persecuzione e assassinio) che si compiono in nome della sicurezza.

In Italia, gli articoli del Codice penale n. 261 sulla “rivelazione di segreti di Stato”, n. 265 per il “disfattismo politico”, n. 266 per le “istigazioni di militari a disobbedire alle leggi” e l’art. 267 “disfattismo economico” stabiliscono che: “Chiunque diffonde o comunica voci o notizie false, esagerate o tendenziose che possano destare pubblico allarme o deprimere lo spirito pubblico o altrimenti menomare la resistenza della nazione di fronte al nemico o svolge comunque un’attività tale da recare nocumento agli interessi nazionali è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni. La pena è non inferiore a 15 anni se il fatto è commesso con propaganda o comunicazioni dirette ai militari o se il colpevole ha agito in seguito a intelligenze con lo straniero”. In questo secondo caso la pena è dell’ergastolo.

La condotta si considera criminosa solo se compiuta al tempo di guerra o in caso di imminente pericolo della stessa che è esattamente il nostro caso di oggi. In teoria la norma non dovrebbe colpire “idee e convincimenti di carattere privato, né frasi consistenti in meri apprezzamenti personali”. Ma non se ne può essere sicuri specie nel vortice di panico che la minaccia crea. Anche il fatto di non essere in guerra non esclude sanzioni per la diffusione di notizie ad essa collegate. L’art. 256 del nostro Cp dice “Chiunque si procura notizie che, nell’interesse della sicurezza dello Stato o, comunque, nell’interesse politico, interno o internazionale, dello Stato debbono rimanere segrete è punito con la reclusione da tre a dieci anni. Si applica la pena dell’ergastolo se il fatto ha compromesso la preparazione o l’efficienza bellica dello stato, ovvero le operazioni militari. Oltre a chi procaccia notizie è responsabile anche chi le diffonde..

Ovviamente, gli articoli del codice che si riferiscono alla diffusione di notizie false non sembrano potersi applicare a quelle false create e diffuse contro il nemico anche se destano pubblico allarme o deprimono lo spirito pubblico o recano nocumento ai nostri interessi nazionali. Questa infatti è ritenuta una giusta lotta alla disinformazione dell’avversario anche se condotta con altrettanta disinformazione. Ed è per questa ragione che in tutta Europa sta dilagando una disinformazione organizzata dagli stessi governi che appoggiano e sponsorizzano la disinformazione ucraina o la sostengono con altrettanta disinformazione autogena.

L’Unione europea ha emanato un regolamento che proibisce la divulgazione di notizie provenienti da siti russi con la premessa che essi istituzionalmente fanno disinformazione e diffondono falsità. Può essere vero, ma non è dimostrato e sarebbe strano se non fosse reciproco. La stessa disinformazione europea a uso e consumo dei cittadini europei si diffonde dichiarando falso tutto ciò che proviene da determinate fonti.

Detta in breve, se denunci una notizia per falsa ed il giudice sbatte sul banco degli imputati colui che l’ha scritta, e si dovessero poi verificare le prove quali veritiere ma vi è anche stato coperto un reato penale da parte del querelante, un crimine di guerra… beh… I coglioni diventano due:: bisogna solo vedere poi chi fa il pistolino… colui che divide i due coglioni….!

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