Sanremo, il sermone di Benigni, retorico sulla Costituzione. Veneziani: che esagerazione

Che brutta la Rai dove Roberto Benigni fa il suo comizietto sulla Costituzione per mandare il messaggio che nessuna riforma è possibile rispetto a un testo “sacro”. Lo dice Daniele Capezzone, uno dei pochi a criticare le vagonate di retorica che la prima serata di Sanremo ci ha regalato. “Il comizietto di Benigni (che ora parla ispirato di libertà, ma fu muto in epoca di lockdown-discriminazioni-greenpass), le inquadrature (spiace dirlo: da tv nordcoreana) per il Presidente, il messaggino subliminale antiriforme. Che brutta Rai. Voltare pagina presto”. Questo il tweet di Capezzone. Un sentimento che di sicuro molti altri italiani hanno provato.

Mentre stamane i giornali progressisti usano toni lirici per pennellare il quadretto edificante: Benigni che fa riecheggiare l’allarme fascismo e Mattarella che benedice. La Stampa non si fa distrarre dall’attacco scomposto a Dazzolari e addirittura riporta per intero il sermone di Benigni. Per l’occasione passato da San Francesco a San Remo. Su Repubblica invece un Cappellini francamente ridicolo paragona il discorso di Benigni a quello di insediamento della premier Meloni: “Ci voleva il festival di Sanremo – annota – per ascoltare sul ventennio fascista le parole che Meloni non ha pronunciato”. Ecco, questi sono i toni.

Di anno in anno l’esagerazione su Sanremo aumenta a dismisura. L’entertainment sostituisce in pieno la politica inglobando anche un presidente compassato come Mattarella trasformato per l’occasione in presidente pop. Lo fa notare Marcello Veneziani su La Verità: “Tutto il campionario dell’idiozia nazionale sfila in bella mostra. Il palco dell’Ariston è l’Altare della Patria dell’Italia d’oggi, ormai da decenni, con un’enfasi che ogni anno aumenta le sue dosi. San Remo ha scalzato san Francesco come santo protettore del nostro paese. Non ho nulla contro il Festival della canzone, nulla contro chi canta, contro chi ascolta, contro chi va in quel teatrino che dal vivo è di una miseria assoluta e quando arrivi davanti ti sembra una di quelle vecchie sale di serie b dove si facevano film scadenti di terza visione o a luci rosse, oppure avanspettacoli di provincia con compagnie minori. Nulla di male andarci, cantare, vederlo, lavorarci”.

“Ma è l’esagerazione, la riduzione di un paese a buccia di Sanremo – conclude –  a scatolone che contiene al suo interno questo teatrino. Quel che non si sopporta è la campagna massiccia h 24, a 360 gradi, l’overdose di notizie sul festival, l’antefestival, il dopofestival, il criptofestival, il metafestival; l’infiammazione permanente di sanremite. Via, un po’ di senso della misura e delle proporzioni; non è la festa nazionale dell’Italia, il riassunto supremo della sua storia, arte, cultura e identità”.

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