Quella gloria infranta della Primavera araba (Nostalgia Romantica)

Dieci anni fa, il fruttivendolo Mohammed Bouazizi si è dato fuoco nella città tunisina di Sidi Bouzid dopo un alterco con una poliziotta che lo rimproverava di non avere la licenza per il suo carretto. Nei 18 giorni tra l’autoimmolazione di Bouazizi, il 17 dicembre 2010, e la sua morte, il 4 gennaio, la Tunisia è stata investita da una rabbia popolare mai vista dall’indipendenza. La morte solitaria di un venditore in difficoltà è diventata il simbolo di un rancore che ha definito un’era. Le proteste sono diventate rapidamente rivoluzioni, in ogni angolo della regione, la storia di Bouazizi che guadagnava circa 2 dollari al giorno per sfamare una famiglia di otto persone e il sopruso da lui subito hanno fatto il giro del mondo. Il suo atto fatale e di sfida si è rapidamente diffuso, innescando proteste a livello nazionale che alla fine hanno rovesciato il dittatore Zine al-Abidine Ben Ali e ha contribuito a ispirare rivolte simili in tutta la regione. Era l’inizio della cosiddetta «primavera araba».

Grandi manifestazioni sono scoppiate in Egitto e Bahrein, i governi sono caduti e la guerra civile ha travolto Libia, Siria e Yemen. I tunisini sono ora liberi di scegliere i loro leader e possono criticare pubblicamente lo Stato. Tuttavia, nonostante tutto il caos che hanno attraversato, molte persone ripensano agli eventi del 2010 e si rammaricano che i loro sogni di allora siano rimasti insoddisfatti.

Le manifestazioni oceaniche in tutto il Medio Oriente sono state contro le diseguaglianze sociali e le élite sempre più irresponsabili e rapaci. Le rivolte sono state cavalcate da una gioventù irrequieta in rapida crescita che non aveva accesso a nessuna opportunità. E molti hanno creduto di non avere nulla da perdere protestando. A metà gennaio mentre Ben Ali fuggiva in esilio in Arabia Saudita, le strade dell’Egitto e la simbolica piazza Tahrir, della liberazione, del Cairo esplodevano in una rivoluzione che ha rovesciato Hosni Mubarak, l’autocrate che ha regnato per tre decenni nel Paese. Anche la Libia, dove Muammar Gheddafi aveva governato spietatamente per 40 anni, stava cominciando a vacillare, così come la Siria, dove Hafez al-Assad aveva lasciato in eredità lo stato di polizia più controllato della regione a suo figlio Bashar. L’allarme suonava anche in Arabia Saudita e Iran. I governi temevano che anche il loro popolo potesse essere scatenato.

In Siria e in Egitto il dissenso è stato soffocato e ora ci sono molti più detenuti politici nelle carceri di sicurezza di entrambi gli stati rispetto all’inizio del 2011. Altra conseguenza delle primavere arabe è stata la nascita – dall’ex ramo iracheno di al-Qaeda – dello Stato Islamico. Si è espanso in una fascia della Siria e dell’Irak e ha dichiarato la creazione di un «califfato» islamico, innescando l’ennesima guerra che ha provocato la distruzione dell’Iraq. Ma non è finita qui: c’è stata anche la seconda ondata delle rivoluzioni. Grandi proteste si sono diffuse in Libano e Irak alla fine del 2019 e all’inizio del 2020, con folle che chiedevano l’allontanamento di intere classi dirigenti avide e corrotte. In Sudan, i manifestanti hanno costretto l’autocrate Omar al-Bashir a lasciare, e hanno cercato di cacciare anche i militari dal potere, anche se il successo dell’azione è stato solo parziale. Ma purtroppo l’idea che ci sia stato un momento in cui milioni di persone in tutto il Medio Oriente volevano la libertà e il cambiamento sembra ormai solo una nostalgia romantica.

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