Mafia e terrorismo nero: l’ex toga rossa Scarpinato la spara grossa….. (Leggi le dichiarazioni)

Più che il libro di Luca Palamara, bisogna leggere l’intervista al Fatto Quotidiano dell’ex-procuratore Roberto Scarpinato, oggi senatore 5Stelle, per rendersi conto di come parte rilevante della magistratura italiana sia abituata a procedere per teoremi, ipotesi, suggestioni. Succede quando l’obiettivo non è la giustizia secondo verità bensì la riscrittura della storia inforcando le lenti deformanti della faziosità politica. Scarpinato è uno specialista del settore, salvo poi spaccare il capello in quattro non appena – come vedremo più avanti – sotto i riflettori ci finisce lui. Ma procediamo con ordine: nella sua intervista al giornale diretto da Marco Travaglio, parlando della commemorazione della strage di Bologna del 2 agosto del 1980, l’ex-procuratore afferma che, pur volendo, Giorgia Meloni non avrebbe potuto parteciparvi.

Il motivo? Perché, spiega, «in continuità ideale con gli ambienti che furono il terreno di coltura e la fucina di formazione di tanti neofascisti esecutori delle stragi». E qui uno immagina chissà quali misteriosi intrecci. E invece, no: «Mi riferisco alla sua proclamata ammirazione per Pino Rauti, fondatore di Ordine nuovo». In pratica, la Meloni non è andata a Bologna in omaggio a un uomo che è stato leader del partito in cui ha militato. Davvero ridicolo. Tanto più che Rauti superò indenne ogni accusa di connivenza con l’eversione, compresa quella che lo vedeva imputato per la strage di Milano del 1969. Ma sono solo dettagli per un professionista della suggestione come Scarpinato.

Che riesce addirittura a superarsi quando l’intervistatore gli chiede di indicare i «punti di contatto» tra la strage di Bologna e i delitti di mafia. E qui l’ex-magistrato fa i nomi di Fioravanti e Cavallinieffettivamente condannati come esecutori della strage del 2 agosto. Ma Scarpinato va oltre a ricorda che i due «furono individuati da Giovanni Falcone come gli stessi che pochi mesi prima avevano ucciso a Palermo il presidente della Regione Piersanti Mattarella, che si apprestava a rilanciare in campo nazionale la linea del Compromesso storico, avversata dai mandanti della strage di Bologna». Impeccabile prosa da toga rossa.

Peccato che non sia vero niente. Meglio: è vero Fioravanti e Cavallini furono accusati di esser stati i killer di Mattarella, ma è altrettanto vero che poi furono assolti. E che i due Nar non c’entrassero niente con quell’omicidio è consapevolezza che Scarpinato acquisisce sin dal 26 novembre del 1992, giorno in cui, negli uffici della Dia di Roma, Tommaso Buscetta escluse categoricamente che Cosa Nostra si fosse rivolta a due estranei per eliminare il presidente della regione Sicilia. C’era infatti anche lui tra i magistrati che ascoltavano il collaboratore di giustizia. Omettere di riferire l’esito di una sentenza per dare risalto all’incriminazione dell’accusa, è operazione scorrettissima. Nel caso di specie, lo è due volte perché proviene da un ex-procuratore oggi senatore.

È lo stesso, per altro, che da magistrato in carica non esitò, tempo fa, ad accusare Palamara di «falsificazione» dopo che  questi aveva scritto nel libro Il Sistema che «Antonello Montante era stato condannato  a 14 anni di reclusione per associazione mafiosa». Montante, già responsabile “legalità” di Confindustria siciliana, aveva creato una vera e propria lobby di connivenze finalizzata ad attività spesso illecite. Secondo Palamara, anche Scarpinato vi si rivolgeva. In un’occasione anche per sollecitarne l’intervento presso il Csm per ottenere una nomina. In realtà, la condanna di Montante non riguarda reati di mafia. Scarpinato diede dunque del falsificatore a Palamara solo per aver riportato imprecisamente il capo d’imputazione costato la condanna all’ex-dirigente di Confindustria Sicilia. Un niente rispetto alle mezze verità contenute nella sua intervista. Giusto, perciò, che quella stessa accusa gli rimbalzi in faccia.

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