Daniele: “La querela è stata inevitabile. In ogni mestiere esistono i professionisti bravi e quelli meno bravi”

By Gaetano Daniele

Da premettere che non dirigo più ith24.it da ormai un mese e mezzo, giorno più giorno meno. Ma ho notato al di là di questo aspetto, importante, che se inviassi, come ora, un articolo da pubblicare ad ith24.it, a il Noriziario, a Libero o magari a Repubblica, tutto quello che verrebbe poi pubblicato sui suddetti citati, a firma di altri s’intende, la responsabilità ricadrebbe sempre su di me. Una sorta di deus ex machina a convenienza: prendi 3 e paghi 2, tanto paga Daniele. Che fenomeni da baraccone. Se mi sento diffamato, mi fermo alla prima stazione dei carabinieri e sporgo denuncia, poi mi presento alla segreteria dell’ordine degli avvocati e segnalo l’accaduto. (Sarà poi la magistratura a valutare) Non è che busso la porta della mia vicina e cerco di convincerla di aver ragione. Non mi interessano le opinioni pur facendo pubbliche relazioni.

Proprio come ieri mattina. Mi è toccato querelare due avvocatesse. Una delle quali mi ha già denunciato due volte. Ella sperava che mi condannassero per diffamazione, ma gli sono andate di traverso: entrambe archiviate. In una, sono state depositate delle prove, e sono stati inviati gli atti alla Procura. Chissà, magari si renderanno conto che poi non ho nessun interesse a scrivere falsità. Tutto regolare insomma.

Allora pur di dimostrare di essere bravi citano articoli di 20anni fa, con la speranza, da un lato, di mandare ai matti qualcuno, dall’altro, di impressionare. Come se non lo sapessero già. Siete arrivate ultime. Chi di diffamazione ferisce di diffamazione perisce. E, infatti, l’avvocatessa Giuseppina Tafuro del foro di Napoli, è stata querelata e sarà segnalata all’ordine degli avvocati.

Capisco che invitando a non pubblicare si sta invitando a farlo, magari per arrivare a dire: eccolo, 2 + 2 uguale 4. Ma sono slegato da queste strategie frivole. Ho altro a cui pensare.

È una strana ma reale vicenda. Se per il diritto penale si è innocenti fino a sentenza definitiva, dal punto di vista professionale, il verdetto di condanna pare già espresso e inappellabile. “Io mi chiamo Gaetano Daniele”. Per lo più, si tratta di allusioni e spiacevoli accostamenti alla sua recente, tragica, vicenda, nel quale non posso addentrarmi per privacy e rispetto soprattutto per terze persone e per gli stessi organi giudiziari, ma quella dell’avvocatessa Giuseppina Tafuro, resta una volgare accusa di diffamazione. Davanti a lei si apre una strada, le basi ci sono, quella di Caporetto.

Dal punto di vista processuale la cosa migliore sarebbe per lei una richiesta d’archiviazione da parte della procura per la tenuità del fatto; sempre se diffamare, attribuire nomignoli e nomi ad altri possa ritenersi una sciocchezza. Alla soluzione osta però la circostanza che l’episodio non sarebbe isolato, visto che al coro della Tafuro, si unisce un’altra figura. Che però non cito. Non c’è due senza tre, ed ecco la frittata. L’archiviazione quindi dovrebbe soprassedere su un vizietto più che su una svista. In ogni caso, non potrebbe avvenire prima che l’indagata presenti una memoria difensiva, che sarà pubblicata a giornali unificati, con la massima diffusione.

Lo sconcerto prevale sull’imbarazzo. Sono i primi segni di qualcos’altro, dell’avanzare inesorabile degli anni, di qualche patologia: queste le risposte che si danno nei corridoi altri legali che hanno assistito, nessuno dei quali vuole credere di aver collaborato per anni con una potenziale diffamatrice, qualora le accuse fossero confermate. E poi, se si trattasse di malattia invalidante, il riposo sarebbe meglio dello stress che porta l’aula di tribunale, dell’obbligo di salire e scendere dalle scale, con i rischi che la pratica comporta; ma chi glielo consiglia? Ma chi glielo fa fare?

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