Finisce in manette la paladina dell’antimafia. Ecco come lucrava sui sequestri

Era stata uno dei simboli dell’antimafia, prima di diventare quello dell’antimafia deviata, per questo poi radiata dalla magistratura. E tanto era diventato tentacolare il suo modus operandi, che è stato ribattezzato «Sistema Saguto» quello che lucrava sulla gestione delle misure di prevenzione, sequestri e confische di patrimoni e aziende di soggetti sospettati di mafia. Ora la Cassazione ha messo un punto fermo alla vicenda giudiziaria dell’ex magistrata palermitana ed ex presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo Silvana Saguto, nel processo che ha portato alla sbarra con lei amministratori e professionisti: la Sesta sezione penale ha confermato la condanna in appello per corruzione rendendola definitiva. Sulle contestazioni di falso, peculato e tentata concussione ha disposto un nuovo processo di secondo grado, anche per i coimputati. Venerdì Saguto è stata prelevata da una clinica palermitana dove era ricoverata da 20 giorni e portata in carcere. Ieri il suo legale ha chiesto per lei i domiciliari per motivi di salute. Deve scontare 7 anni e 10 mesi, per aver favorito professionisti a lei graditi nell’assegnazione degli incarichi di amministratore giudiziario dei patrimoni confiscati.

Al di là degli esiti del nuovo processo, è una parola definitiva su un capitolo che ha macchiato l’antimafia siciliana e non solo, e che ha gettato un’ombra sull’intero sistema delle misure di prevenzione. Che, non solo nel caso Saguto, si è rivelato terreno fertile d’illegalità contestate ad amministratori giudiziari e magistrati. Talune inchieste ancora in corso fotografano un settore fatto di super parcelle e ambiti incarichi nelle amministrazioni giudiziarie a cui non sempre corrispondono altrettanto alti risultati di gestione.

Nel caso Saguto, ci sono aziende che sono state restituite dopo anni ai legittimi proprietari, quando i sequestri sono stati annullati, indebitate, svuotate, sull’orlo del fallimento e poi liquidate. Le misure di prevenzione viaggiano parallelamente al binario penale, non è necessaria cioè una condanna per procedere alla richiesta di sequestro. Basta il sospetto. Prevenzione, appunto. Il nodo però è il «dopo» sequestro. Gli amministratori giudiziari si dimostrano in molti casi incapaci di gestire i beni che hanno in custodia, soprattutto aziende, spesso condannate a morte insieme con posti di lavoro. Parte civile nel processo a Saguto ci sono gli imprenditori Rappa, titolari di concessionarie di automobili. Nel 2014 gli è stato sequestrato il patrimonio, 5 anni dopo è stato dissequestrato e restituito. Il titolare al processo ha descritto così cosa ha trovato al suo rientro: «É stato un assalto alla diligenza, una società piena di perdite, caricata di costi quasi per farla fallire». Lo stesso hanno trovato i Cavallotti, finiti nelle misure di prevenzione chieste da Saguto, quando le loro aziende sono state dissequestrate: erano ormai in rovina. Si sono rivolti alla Corte europea, che un mese fa ha chiesto chiarimenti al governo italiano sul sistema delle misure di prevenzione. Una delle domande è se questo rispetti il principio della presunzione di innocenza.

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