Elezioni, pure le pulci hanno la tosse. Di Battista contro di Di Maio: “È stata la più grave sconfitta del M5S”

Pure le pulci hanno la tosse, direbbe qualcuno. Nel M5S scocca l’ora della chiamata a raccolta dei duri e puri, riserva vitale di ogni movimento carismatico.

A far rintoccare la campana è Alessandro Di Battista. È il momento che sognava da sempre. Almeno da quando decise di non ricandidarsi al Parlamento per scrivere reportage dal Sudamerica. Un po’ per non esaurire il secondo  mandato elettivo disponibile e un po’ perché immaginava che il M5S sarebbe uscito di strada alla prima curva.

Ma è proprio grazie a quella scelta che oggi può atteggiarsi a coscienza critica del MoVimento, evidenziarne gli errori e fustigarne i vizi. In realtà, è solo. Era l’idolo della base. Ma ora che la base si è squagliata, è poco più di un rompiscatole..

È un ostacolo sulla strada della «evoluzione» dimaiana finalizzata a fare del M5S un partito stabilmente alleato del Pd. Non è casuale che sia proprio Di Maio, pur senza l’onore della citazione diretta, uno dei bersagli dello sfogo che Di Battista ha consegnato via Facebookai militanti grillini. Lo ha fatto passando in rassegna i risultati delle Regionali.

A cominciare dalla Campania, terra, oltre che di Di Maio, di Fico, di Costa e di Spadafora. Il grillino ribelle la elegge a emblema dell’inconsistenza pentastellata. Non per niente, in soli due anni il M5S è franato dal 50 al 10 per cento. «Eppure  –  sottolinea Dibba – è campano il ministro degli Esteri, il presidente della Camera, il ministro dell’Ambiente, il ministro dello Sport».

Ma non è tutto. «In Liguria – continua – siamo andati in coalizione col Pd e siamo passati dal 22 al 7,8 per cento. Nelle Marche andavamo soli e abbiamo perso voti. In Veneto poi una debacleenorme: dal 10 al 2 con zero consiglieri». C’è spazio anche per le suppletive in Sardegna. Un collegio conquistato da soli con il 41 per cento. «Stavolta – denuncia – lo abbiamo perso con il 28 in coalizione col Pd». Morale: «È la più grande sconfitta della storia del M5S». Per Di Battista non se esce neppure con una leadership forte. «Potremmo mettere anche De Gaulle, non cambierebbe nulla», dice. A suo «mancano le ragioni per votare M5S». Quel serve, conclude, «è una nuova agenda con gli Stati generali». Infine, un accenno al referendum. «Lo abbiamo vinto – concede – ma il 70 per cento non è tutta opera nostra».

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