Economia, le conseguenze della guerra in Europa, “il peggio deve ancora arrivare”: i risvolti

By Antonio Castro (LQ)

La Guerra dei Sei giorni, il conflitto in Medioriente, la Guerra del Golfo e quella in Iraq. Il denominatore comune con il conflitto scatenato nel febbraio scorso dalla Russia con “l’operazione straordinaria” in Ucraina è rappresentato – oltre al drammatico esodo di massa – dall’impatto economico. Che avrà sicure ripercussioni anche nei prossimi anni.

Già il titolo del report realizzato dalla Banca nazionale Svizzera (SNB) è tutto un programma (negativo): “L’impatto dell’invasione Russa in Ucraina sugli Stati europei”. Lo studio – realizzato a fine agosto e rilanciato dall’agenzia di stampa internazionale Reuters) – è un condensato degli effetti macroeconomici negativi del conflitto. Il tutto miscelato con una fiammata dei prezzi che ne ha moltiplicato gli effetti. Non dimenticando che l’economia mondiale nel febbraio 2022 stava facendo appena capolino dopo lo tsunami Covid.

Il monito – del professor Jonas Bruhin con il supporto dei due analisti Rolf Scheufele e Yannic Stucki- è che «effetti peggiori ancora devono concretizzarsi». «Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina l’Europa ha subito un aumento dei prezzi dell’energia, turbolenze sui mercati finanziari e ha dovuto fare i conti con una forte contrazione delle economie di Russia e Ucraina».

Forse, dopo quasi 600 giorni di conflitto, c’è chi ha rimosso i picchi del prezzo del gas. Il 23 febbraio 2022, alla vigilia dell’invasione, il prezzo del gas aveva chiuso a 87,5 €/MWh. Durante la seduta del 7 marzo si era addirittura impennato fino all’inimmaginabile record di 345 euro. Non bastasse l’effetto domino sul mercato energetico (oltre il 40% delle forniture di gas ai Paesi dell’Europa occidentale arrivavano dalle steppe russe tramite gasdotti Nord Stream), anche le forniture agroalimentari da Ucraina e Russia sono precipitate. E così in una guerra di trincea si è inoculato un ennesimo conflitto economico. La guerra del grano.

 L’Ucraina, dai tempi degli zar, rappresenta il granaio d’Europa. Nell’era dell’Urss le immense distese coltivate a grano duro, semi di girasole e granaglie varie rappresentavano il tesoro alimentare di tutto il blocco sovietico. Lo stop alle forniture, le infinite trattative per far ripartire le navi cariche di grano dai porti dell’Ucraina e gli attacchi ai silos delle riserve costituiscono le basi di uno scontro che rimbalza sui mercati finanziari che trattano proprio le materie prime. A fine luglio 2023 il prezzo del grano tenero era salito del 5,66%, quello del grano duro del 4,1%. E certo il blocco imposto da Mosca alle esportazioni – concordate lo scorso anno con la mediazione interessata della Turchia – non aiuta a raffreddare i prezzi. Anzi. Secondo le stime del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti nei prossimi due anni Kiev vedrà la sua quota di mercato dimezzarsi rispetto ai livelli pre-bellici, passando dal 10% del 2021 al 7% nel 2023 e al 5% nel 2024. Quella di Mosca invece aumenterà superando il 20%.

Se la Russia non avesse invaso l’Ucraina – secondo gli analisti della banca svizzera – Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia e Svizzera avrebbero potuto contare nel 2022 su una crescita compresa «tra lo 0,1% e lo 0,7% in più nel quarto trimestre» dell’anno. Così come «i prezzi al consumo in ciascuno dei Paesi sarebbero stati tra lo 0,2% e lo 0,4% più bassi». Oggi ci accorgiamo di quanto morde salari e capacità di spesa l’aumentare del costo della vita. Ma non basta: le conseguenze negative della guerra probabilmente saranno ben più consistente nel medio-lungo termine, soprattutto per quanto riguarda l’economia reale». E secondo le proiezioni della Bns «è probabile che tra 1 o 2 anni»il rallentamento economico potrà pesare ancora di più». Le stime tendono «verso il basso perché, probabilmente hanno sottovalutato l’effetto dell’inflazione sugli alimentari». E anche perché si è tenuto conto «più dei prezzi del petrolio piuttosto che di quelli del gas». Trascurando, di contro, «l’impatto dei rifugiati e l’aumento della spesa militare» che potrebbe essere maggiore rispetto «ai recenti conflitti».

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