Daniele: “Pecore sole o nel gregge, sempre pecore rimangono”

By Gaetano Daniele

Con questo articolo, mi raccomando, massima condivisione. Sono un narcisista (che poi non so se narcisismo è appropriato nel ragionamento che voglio sottoporvi, non conosco il significato, mi piace come parola e la infilo dentro al discorso. Vuoi fare che faccio pure bella figura, e magari passo pure per quello che capisce?). Voglio raggiungere le 50mila visualizzazioni. Siete pronti, li, sul letto a scorrere con il pollice? Partiamo!

Parto dalla nostra cultura. Qualcuno si chiederà cosa sia? Non è di sicuro una pietanza. Non la si trova nel menù al ristorante. La nostra cultura contiene un sentimento di avversione nei riguardi anche della solitudine (scusate il tuffo nella profondità) ossia diamo per scontato che chi è solo sia sfigato, reietto, misero, escluso, emarginato, che sia solo non per decisione sua, bensì che patisca tale condizione, insomma che sia solo perché altri non lo hanno voluto o lo hanno isolato. Preconcetto sbagliato. Io amo stare nella solitudine nonostante gli altri mi adorano.

Ecco perché la solitudine può costituire una scelta individuale consapevole e non rappresenta sempre qualcosa di negativo. È nella solitudine che possiamo compiere un’opera di introspezione, che possiamo crescere, evolvere, progredire, imparare, ascoltarci, trovare la nostra serenità. È stando da soli che possiamo sviluppare quelle capacità che ciascuno di noi possiede. Affidarsi sempre agli altri, concederci per forza a qualcuno per paura di rimanere soli, ci mette nella condizione di vivere male. Anzi. Malissimo.

Non mi sono mai fidato di coloro che dalla solitudine rifuggono, che ne hanno orrore, che cercano di riempirla con chiunque, pur di non subirla, pur di non fare i conti con i propri fantasmi interiori, pur di non stare in silenzio, quel silenzio che ci impone di ascoltarci nel profondo e di confrontarci con il nostro io interiore.

Ve lo ricordate il caso della pecora? Che bloccata su di un isola fu oggetto di una petizione da parte della gente affinché potesse tornare nel gregge? Destò scalpore. Quella che per qualcuno era vittima della solitidine, non mi serve essere un etologo per concludere che gli ovini siano mammiferi che stanno bene nel gruppo, ovvero nel gregge. Come le pecore, appunto. Da sempre abitano insieme, si muovono insieme, pascolano insieme, tornano all’ovile insieme. Persino il Vangelo ci consegna l’immagine della pecora sola come quella smarrita, cioè persa in tutti i sensi, la quale ha perduto anche Dio, non solamente la retta via o il gruppo. La pecora vista nel gregge, la pecora smarrita. Sempre di pecore parliamo.

Non è azzardato immaginare che questa pecora avesse nostalgia dei suoi simili o della presenza umana, che fosse annoiata dal troppo tempo trascorso da sola, su un isolotto, in mezzo al mare. Tuttavia, questo, chi cazzo ce lo assicura? Non possiamo mica interrogarla su questo punto e, anche se lo facessimo, avremmo come risposta un solenne: Beeee, che aprirebbe diversi scenari interpretativi.

Magari adesso che è in una bella fattoria, trattata da star, con la colazione sempre pronta, i pasti assicurati, le chiacchiere delle sorelle che belano alle sue orecchie dalla mattina alla sera (non la invidio per niente), la pecorella rimpiange la beatitudine dell’essere sola e persino dimenticata, dispersa su un pezzo di terra altrettanto desolata dove essa non corre alcun pericolo di imbattersi in un rompiscatole. Siamo onesti: chi di noi non lo ha sognato almeno una volta nella vita? Io tutte le notti!

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