Berlusconi, D’Alema sorprende tutti: “Sì, qualche ragione sulle toghe Silvio ce l’aveva”

Quel genio del giornalismo che era Giampaolo Pansa coniò, era il 1996, il termine Dalemoni per sintetizzare l’accordo sulla Bicamerale per le riforme presieduta da Massimo D’Alema favorito da Silvio Berlusconi. Il primo più il secondo formavano, appunto, il Dalemoni. Un accordo alla luce del sole, ma subito decifrato come “inciucio” da quella parte della stampa di sinistra, tra cui l’Espresso dove Pensa scriveva, refrattaria ad ogni ipotesi di intesa con il nemico di Arcore. Non se ne fece niente perché l’accordo sulla giustizia, che pure sembrava a portata di mano, sfumò. Colpa di Berlusconi, si disse all’epoca. Ed in effetti fu lui a staccare la spina, ma è altrettanto vero che l’accordo sulla separazione delle carriere fu riposto in un cassetto a seguito di un’intervista in cui il pm Gherardo Colombo definì la Bicamerale «figlia della paura e del ricatto».

Di quella vicenda è tornato a parlare oggi, in un’intervista al Corriere della Sera, lo stesso D’Alema. Per ribadire, ovviamente, quel che disse allora in termini di responsabilità del Cavaliere. «Io credo – vi si legge, infatti – che la decisione di Berlusconi di rinnegare il voto favorevole e di schierarsi contro in Aula fu un grandissimo errore». Fin qui niente di nuovo, appunto. L’ex-leader del Pds stupisce invece quando si sofferma sul tema della giustizia. Sarà perché di recente indagato per corruzione internazionale nell’ambito del cosiddetto Columbia-gate, fatto sta che D’Alema ha compiuto sul tema una vera virata. Fino a rispondere «probabilmente sì» alla domanda se Berlusconi avesse «qualche ragione nel ritenersi perseguitato da alcuni giudici». Stupefacente.

Così come la lettura che D’Alema dà della incessante tracimazione nelle questioni politiche dell’ordine giudiziario. Una lettura che lo porta ancora su Berlusconi: «Credo – dice – che abbia sollevato un problema reale declinandolo nel modo sbagliato». Perché, spiega, non c’era «il complotto dei magistrati di sinistra contro di lui». E quello che invece, secondo D’Alema, c’è è ancora più grave di quel che immaginava il Cavaliere. «L’indebolimento del sistema dei partiti – argomenta il lìder Maximo – ha lasciato campo ad una crescita del potere “politico” della magistratura, che si è arrogata il compito di fare qualcosa di più che perseguire i reati, come per esempio vigilare sull’etica pubblica e promuovere il ricambio della classe dirigente». Che dire? Meglio tardi che mai. Certo, se ne fosse accorto prima, la riforma della giustizia l’avrebbe fatta la “sua” Bicamerale.

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