Usa, visita di Pompeo a Roma. Gli Stai vogliono capire “Giuseppi” da che parte sta, se con Washington o con Pechino

Ad un anno esatto dall’ultima visita, Mike Pompeo torna a Roma per una due giorni fitta di impegni. Al centro dei colloqui che il segretario di Stato Usa terrà con il premier Conte e il ministro degli Esteri Di Maio ci sono soprattutto i rapporti con la Cina, questione ormai centrale anche nella campagna elettorale di Donald Trump. Dello stato delle relazioni con il Gigante Giallo Pompeo parlerà anche in Vaticano con il segretario di Stato monsignor Pietro Parolin. Un colloquio, quest’ultimo, che s’annuncia particolarmente spinoso dopo l’articolo pubblicato da First Things in cui Pompeo, di fede evangelista, afferma che la Santa Sede «metterebbe a rischio la sua autorità morale» se rinnovasse «l’accordo raggiunto due anni fa con il partito comunista cinese, sperando di aiutare i cattolici cinesi».

All’incontro con il capo della diplomazia americana l’Italia si presenta con molte ambiguità. Tra i governi occidentali, quello italiano è l’unico ad aver spalancato le braccia al progetto cinese della via della seta.

Il Memorandum di Intesa firmato nel marzo del 2019 da Italia e Cina ha provocato allarme allaCasa Bianca. A preoccupare è soprattutto la tecnologia 5G che ha inasprito di molto i già precari rapporti tra Washington e Pechino.

Sul punto Pompeo ribadirà la contrarietà del governo americano alla possibilità che la Cina possa gestire una quantità straordinaria di big data occidentali con evidenti ricadute circa la sicurezza dell’alleanza Nato. Il pressing di Washington ha già costretto il governo britannico a rivedere la propria posizione.

Lo stesso conta di fare ora Pompeo con Conte. Solo qualche giorno fa, infatti, a seguito di un vertice a Palazzo Chigi, fonti di governo hanno lasciato intravedere la “nuova” posizione dell’Italia, ricalibrata dopo le pressioni americane. L’obiettivo è adottare una strategia finalizzata all’indipendenza tecnologica in ambito Ue.

Il segretario di Stato parlerà anche di Libia. Un dossier, quello libico, che il nostro governo ha maneggiato con scarsa determinazione. Alla fine al-Serraj, che pure godeva dell’appoggio Onu, ha dovuto affidarsi ad Erdogan per scongiurare la presa del potere del generale Haftar, sponsorizzato da FranciaRussia ed Egitto.

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