Comunismo? Macché.. Sessant’anni fa lo spiegava anche John Kennedy: “Siamo tutti berlinesi”

Meno di cinque mesi dopo sarebbe morto ma non avrebbe mai potuto immaginarlo. Proiettato verso la  nuova campagna presidenziale, reduce da un duro biennio di guerra fredda, John Fitzgerald Kennedy quel 26 giugno di sessant’anni fa sfidò il nemico sovietico a pochi centimetri dalla divisione del muro verso l’est.

Ich bin ein berliner”, disse ad Alexander Platz. Io sono berlinese. Due anni dopo l’erezione di quel muro, che Jean Paul Sartre avrebbe più di tutti metaforizzato in letteratura, capace di dividere  la vecchia capitale tedesca e dare senso plasticamente al mondo di Yalta.

Era chiamato “l’antifaschistischer Schutzwall”, la barriera protettiva antifascista, dai signori della DDR. Solo più tardi si sarebbe scoperto che la Germania Est era la più inquietante e terribile realtà comunista continentale, con la Stasi, la diffusione di morte, il doping di stato per la supremazia sportiva e un lungo elenco di nequizie.

Kennedy proprio durante la crisi della baia dei porci aveva dichiarato che avrebbe difeso Berlino Ovest ad ogni costo. Senza, però, venire meno agli accordi con l’URSS e dovendo subire il filo spinato e il muro, rimedio contro le continue fughe verso l’occidente .

Quel discorso è ancora oggi ritenuto uno del migliori in assoluto del presidente in materia di politica estera. “Se duemila anni fa il motto era civis romanus sum oggi non può che essere ich bin ein berliner” pronunciò Kennedy dal balcone municipale. Era insieme un esercizio abile e opportuno di retorica ma anche una forma di realpolitik nei confronti del nemico storico. Per molti la preconizzazione dell’ implosione del comunismo. Sarebbero dovuti passare più di ventisei anni per vedere quel muro sgretolarsi e con esso il blocco del terrore della cortina di ferro.

Nel novembre del 1963 a Dallas Kennedy, avviato verso la rielezione, veniva ucciso in circostanze misteriose. Il presidente cattolico e irlandese, chiacchierato per l’eccessiva attenzione verso le donne, figlio del potente ex ambasciatore a Roma,  con pericolose frequentazioni interne, concludeva tragicamente il suo triennio. Stesso destino sarebbe toccato cinque anni dopo al fratello Bob. Quella frase è scolpita nella nuova Berlino, tornata capitale e riunificata. Epitaffio che ricorda il socialismo reale e la sua tragedia infinita.

Pubblicato da edizioni24

Pubblicato da ith24.it - Per Info e segnalazioni: [email protected]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.