Schlein, un modello da non seguire neanche se fosse l’unica donna politica rimasta sulla terra. Riesce a militare anche contro se stessa…

Doveva essere la “grande” estate militante del Partito Democratico, ma alla fine si è trasformata in una serie di clamorosi autogol che nemmeno il compianto Comunardo Niccolai avrebbe potuto realizzare in questo breve lasso temporale. Pur di infilare i bastoni tra le ruote (invano) al governo, vari esponenti dem sono riusciti nell’impresa di militare sostanzialmente contro Elly Schlein. Tra benzina, reddito di cittadinanza, salario minimo, immigrazione, è stata tutta una piroetta in un equilibro instabile per riuscire a tenere le battaglie politiche dell’opposizione tutte legate insieme. Peccato che, in quelle stesse manifestazioni in piazza e feste dell’Unità dove quest’estate si sono ritrovati, i compagni non hanno fatto altro che rinnegare se stessi.

Partiamo dal tema scottante della benzina. Con i suoi prezzi alle stelle di questi ultimi giorni, Arturo Scotto ha recentemente definito le accise come “la tassa Meloni”. All’ex coordinatore di Articolo 1 sfuggono alcuni elementi. Innanzitutto il governo ha utilizzato i fondi derivanti dallo stop allo sconto per tagliare due volte il cuneo fiscale. Inoltre, nel programma elettorale di Enrico Letta delle ultime Politiche, era prevista l’introduzione di più accise sui combustibili fossili – come previsto dalle direttive Ue sulla transizione energetica -. E quando fu l’ultima volta in cui le accise sui carburanti in Italia sono aumentate? Non Meloni, come sostiene la Schlein. Bensì proprio sotto l’esecutivo presieduto dall’ex segretario (giugno 2013) tramite l’articolo 61 del Decreto Legge, 21/06/2013 n° 69.

“Nove euro lordi all’ora rappresentano uno standard di salario minimo di base troppo alto. La proposta del Movimento Cinque Stelle è un rischio per la contrattazione” (Cesare Damiano, ex parlamentare ancora iscritto al Pd). “L’introduzione del salario minimo indebolisce i lavoratori, non li rafforza” (Andrea Orlando). Nicola Zingaretti bollava direttamente la proposta grillina come “propaganda” e, su questo tema, addirittura duellava con l’allora capo politico dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio, e studiava idee “per spiazzare il M5s”. Poi è arrivata l’egemonia culturale di Conte e i dem, sotto la guida della Schlein, hanno abbracciato i cinquestelle su questo filone. Come del resto ha fatto anche Carlo Calenda, anche se fino a pochi mesi il leader di Azione era convinto che non doveva essere “fatto per legge”.

Niente può comunque raggiungere il “picco” che è stato toccato dal Pd sul reddito di cittadinanza. “Una grande sciocchezza: aumenterà solo il lavoro nero. In Campania ho incontrato cittadini che stanno per divorziare al fine di avere diritto all’assegno. Il tema vero è come creare nuovo lavoro e come aiutare chi lo ha perso a ritrovarlo” (Francesco Boccia). “Il reddito di cittadinanza penalizza le famiglie con disabili e anche quelle numerose, dove è maggiore il tasso di povertà” (Antonio Misiani). “Una pagliacciata. Bisogna investire per creare lavoro vero, altrimenti il reddito di cittadinanza diventa reddito di sudditanza. Fare il reddito di cittadinanza senza investire sul lavoro è una vergogna che pagheremo tutti” (Nicola Zingaretti). Il Pd aveva le idee molto chiare sul reddito di cittadinanza a cavallo tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019. Anche perché era all’opposizione del governo Conte 1 e non votò quel provvedimento. Adesso che il centrodestra lo sta progressivamente cancellando, è andato su tutte le barricate. A partire dal sostegno alle manifestazioni che sono scoppiate a Napoli a fine luglio.

I migranti non erano un problema ma anzi una risorsa. Ora invece governatori e sindaci dem si lamentano ce ne sono troppi nei loro territori: Bonaccini, Giani, Gori, Sala tra i tanti. Stesso discorso per quanto riguarda le Ong. Leggere per credere quello che sosteneva Nicola Latorre: “In nessun modo può ritenersi consentita dal diritto interno e internazionale né – continuava – la creazione di corridoi umanitari da parte di soggetti privati, trattandosi di un compito che compete esclusivamente agli Stati e alle organizzazioni internazionali o sovranazionali”. E poi ancora: no “ai corridoi umanitari organizzati dalle Ong, che dovrebbero operare esclusivamente in una cornice regolamentata e coordinata dalle autorità italiane”. Era il 24 marzo 2017 quando l’allora presidente della commissione Difesa del Senato annunciava l’avvio di un’indagine conoscitiva su quello che succedeva nel Mediterraneo. La sinistra che oggi difende le Ong è la stessa che ieri voleva metterle in riga?

Prima di quella di Nordio a giugno, l’ultima riforma sull’abuso d’ufficio venne fatta dal governo Conte 2: il reato si sarebbe verificato solo quando c’era la violazione di “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge”. Moltissimi sindaci Pd chiedevano l’abrogazione totale. “Non impegniamoci in un’opposizione preconcetta alla cancellazione dell’abuso d’ufficio: è giusto consentire agli amministratori locali e ai funzionari di lavorare, è quanto chiediamo da tempo, su questo punto è opportuno mettere da parte le bandierine”, affermavano Gori e Decaro. Il problema è che dovrebbero però dirlo alla loro segretaria Schlein, contraria ancora adesso “all’abrogazione tout court”. Forse, da questo punto di vista, aveva ragione Vincenzo De Luca nel riassumere tutte queste giravolte: “Ho detto e ribadisco che non hanno titolo a parlare in primo luogo dirigenti del Partito Democratico, non ha diritto a parlare chi non ha fatto nulla di sostanziale, per anni”.

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