Scandalo Vaticano, via alla requisitoria del “pm” Diddi nel processone. Monta il caso del supertestimone Perlasca

Le richieste di condanna le formalizzerà domani ma già oggi il promotore di Giustizia Vaticano – l’equivalente del pubblico ministero – Alessandro Diddi, già avvocato di Salvatore Buzzi nel processo Mondo di Mezzo, ha iniziato la sua requisitoria sulla vicenda dello scandalo finanziario legato alla compravendita del Palazzo londinese di Sloane Avenue da parte del Vaticano.

L’impianto accusatorio ha tenuto, soprattutto hanno tenuto i fatti”, sostiene Diddi parlando davanti al presidente del Tribunale Vaticano, Pignatone, già capo della Procura di Roma ai tempi della faccenda di Mondo di Mezzo.

Pignatone e Diddi, all’epoca su opposte barricate, oggi di trovano a gestire un processo che è diventato un po’ il contenitore di qualsisi questione giudiziaria vaticana.

Nel processo non c’è solo la questione del palazzo di Sloane Avenue, pagato una cifra stellare dal Vaticano che, poi, nel tentativo di recuperare il denaro fece perfino incontrare il finanziere che aveva gestito l’affare con Papa Bergoglio.

Nel processo, Diddi ci ha infilato pure la questione dell’esperta di intelligence, Cecilia Marogna che per conto del Vaticano si occupò di risolvere alcuni sequestri, fra cui quello di una suora, all’estero.

Insomma il processo Vaticano è diventato un gigantesco contenitore con imputati che, in realtà, in molti casi non hanno nulla a che fare l’uno con l’altro.

Sara dunque una requisitoria-fiume (ci saranno sei giorni, mercoledì della prossima settimana verranno formalizzate le richieste di condanna) quella del Promotore di giustizia vaticano, Alessandro Diddi, davanti al Tribunale del Vaticano presieduto da Giuseppe Pignatone.

Sin dalle prima battute, Diddi ha voluto sgomberare il campo “da alcuni equivoci, oserei dire da critiche”, sostenendo: “Non ci siamo mossi seguendo teoremi”.

In Aula erano presenti oggi tre dei dieci imputati: il cardinale Angelo Becciu, Fabrizio Tirabassi, già membro dell’amministrazione della Segreteria di Stato, ed Enrico Crasso, gestore per Credit Suisse dei fondi della Segreteria di Stato.

Domani la requisitoria del pm affronterà la vicenda del Palazzo di Londra. Oggi c’è stata una premessa generale nel corso della quale Diddi ha ricordato che il processo analizza fatti avvenuti dal 2012 al 2019 in un arco di sette anni e che è partito da due “piccole denunce, una da parte del revisore dei conti, l’altra da parte dello Ior”.

Il Promotore di giustizia ha poi voluto rintuzzare “alcune accuse arrivate dai media” dicendo che “hanno parlato di processo alla Segreteria di Stato ma questo non è mai stato l’intendimento dell’Ufficio del Promotore”.

Diddi ha quindi ricordato che il processo ha coinvolto anche monsignor Alberto Perlasca, da molti considerato il teste chiave del processo, che nel corso di alcuni interrogatori in aula ha fatto retromarcia.

Il Promotore ha detto che il suo ufficio ha ritenuto di archiviare la posizione (“a noi Perlasca è sembrato più vittima che partecipe, una persona fragile”) ma ha detto anche che qualora il Tribunale decidesse di rivedere la posizione di Perlasca, “noi ci rimettiamo al giudizio del Tribunale compresa la ritrasmissione di atti per un eventuale rinvio a giudizio”.

Per Diddi comunque Perlasca “non è né il supertestimone, né il superpentito”.

Riferendosi al cardinale Angelo Becciu, tra i dieci imputati, Diddi ha detto che “per noi il cardinale all’inizio non era obiettivo dell’indagine. E’ persona che ha cercato di intromettersi nelle indagini. Dalla chat di Perlasca si capisce come cercasse di intromettersi nelle indagini e con gli imputati per solidarizzare e attivare campagne stampa nei confronti dei magistrati che svolgevano le indagini”.

Dal contraddittorio, il pm Diddi ha detto che è emerso che l’Obolo di San Pietro “in sé è una somma irrisoria” rispetto ai fatti oggetto del processo ma “nella disponibilità della Segreteria di Stato c’era la cospicua sovvenzione dello Ior pari a 700 milioni di euro nell’arco di 16 anni”. Ad avviso del Promotore di giustizia “sino all’arrivo di Perna Parra c’era la barriera della segreteria di Stato che si riteneva ‘legibus soluta’”.

Diddi, nel corso della requisitoria, ha osservato che “c’è stata una grave violazione commessa nella gestione dei fondi” e che con le operazioni al vaglio del Tribunale “sono state violate norme del codice di diritto canonico e la Pastor Bonus. Per noi, la cosa più sorprendente di tutte è che a dirci che non si dovevano fare non sono stati uomini di Chiesa ma uomini dentro alle speculazioni”. Quindi ha osservato: “Io credo che in tutto il mondo non ci sia fedele che abbia dato un euro pensando poi che sarebbe stato impiegato nelle scorribande finanziarie di Mincione”. Per Diddi “nella gestione della Segreteria di Stato” sarebbero “ravvisabili il peculato e l’abuso d’ufficio”.

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