Saluto romano, la Cassazione zittisce la sinistra: “Se usato alle celebrazioni non è reato”

Il saluto romano, durante le rievocazioni, integra la legge Scelba e configura il reato di apologia. Lo ha stabilito la Cassazione chiamata a decidere a sezioni unite sull’episodio che si verificò nel 2016 durante una cerimonia commemorativa per Sergio Ramelli. Nella motivazione provvisoria della sentenza si legge che “La ‘chiamata del presente‘ o ‘saluto romano’ è un rituale evocativo della gestualità propria del disciolto partito fascista e i per i giudici è idonea a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista”. In particolare, evidenziano gli ermellini, è l’articolo 5 della legge Scelba quello che dev’essere contestato in questi casi, “ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista”. Solo a determinate condizioni, spiegano i giudici, può configurarsi la violazione della legge Mancino.

Questa mattina, nella sua requisitoria, il Pg Pietro Gaeta, ha spiegato che il saluto romano “rientra nel perimetro punitivo della ‘legge Mancino’ quando realizza un pericolo concreto per l’ordine pubblico”. Tra gli imputati del caso discusso in Cassazione, si annoverano alcuni esponenti di estrema destra, che vennero già assolti dieci anni fa per gli stessi fatti, poi condannati in Appello. Le due letture diverse fatte dai giudici dei diversi gradi attinsero a due leggi differenti. L’assoluzione in primo grado è avvenuta sulla base della “legge Scelba“, che punisce la ricostituzione del partito fascista. Invece, la condanna in secondo grado è stata basata sulla “legge Mancino“, che più in generale punisce le ideologie discriminatorie. Per dirimere la questione, i supremi giudici della prima sezione penale hanno chiesto l’intervento delle sezioni riunite e dare, dopo anni, un orientamento univoco alla questione che finora ha visto numerose, e contraddittorie, interpretazioni. La sentenza ha deciso per un orientamento incentrato sulla prima, che però considera il saluto fascista come un rituale di riorganizzazione fascista.

È sulla “legge Mancino” che il procuratore generale oggi ha sostenuto che il saluto romano non possa essere considerato reato in modo univoco, ma solamente se sussiste un concreto pericolo per l’ordine pubblico. Il pg Gaeta, nella sua requisitoria, ha spiegato che “Acca Larentia, con 5mila persone, è una cosa diversa da quattro nostalgici che si vedono davanti a una lapide di un cimitero e uno di loro alza il braccio”. Su questa base, ha proseguito, “Bisogna distinguere la finalità commemorativa con il potenziale pericolo di ordine pubblico”.

Ma la nostra democrazia, ha sottolineato l’avvocato, è forte al punto da riuscire a compiere questo tipo di distinguo. Se da una parte, infatti, il saluto romano può rappresentare un’offesa alla sensibilità soggettiva, questo non implica che possa configurarsi come reato. Lo diventa solo se si configura un pericolo per l’ordine pubblico. “Non possiamo avere sentenze a macchia di leopardo in cui lo stesso gruppo viene condannato da un tribunale e assolto da un altro”, ha concluso Gaeta.

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