Era un obiettivo del ministro Piantedosi blindare i confini della rotta balcanica. Qualcosa, anzi molto, si muove. Tredici arresti di “trafficanti umani. Si chiama “Operazione The End” quella eseguita nella notte sulla rotta balcanica dell’immigrazione clandestina, ad opera della polizia giudiziaria con la Squadra Mobile di Trieste con la locale Sisco (Sezione Investigativa Servizio Centrale Operativo), il coordinamento della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia e con il concorso operativo delle Squadre Mobili di Bologna, Rimini, Pesaro Urbino e Treviso, dei Reparti Prevenzione Crimine di Padova, Bologna e Reggio Emilia, nonché delle Polizie Francese, Slovena, Kosovara e Albanese, attivate dal Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia per il tramite degli uffici degli esperti per la sicurezza di Parigi, Lubiana, Pristina e Tirana.
Le indagini, svolte dagli agenti della Sezione Criminalità Organizzata e Catturandi della Squadra Mobile giuliana con il supporto del Servizio Centrale Operativo, hanno avuto inizio nel novembre del 2021 a seguito di mirati accertamenti volti a verificare il passaggio in località Basovizza (Trieste) di eventuali autovetture che potessero essere utilizzate da persone dedite al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina attraverso il valico degli ex confini di Stato con la Slovenia (Pesek e Basovizza), soffermandosi, in particolare su quei veicoli che sono risultati viaggiare accoppiati in più occasioni, ritenendo che rispecchiassero il tipico modus operandi utilizzato dai passeurs, i quali, per come emerso da pregresse attività d’indagine, sono soliti adoperare autovetture di staffetta seguite dai veicoli con a bordo i migranti irregolari.
In ore pomeridiane, quindi, una delle autovetture nella disponibilità dei sodali partiva da Trieste alla volta della località Pomjan (Slovenia) da cui, lasciati i passeurs, faceva immediatamente ritorno in Italia. A questo punto, i passeurs si addentravano a piedi nella zona boschiva attraverso la quale raggiungevano il confine tra la Slovenia e la Croazia (all’epoca dei fatti le arterie di comunicazione tra i due Stati erano ancora presidiati dalle Forze dell’Ordine) ove trovavano ad attenderli i migranti appositamente fatti convergere in quel luogo dal referente che si era occupato della parte precedente del viaggio. Una volta recuperati i clandestini, questi venivano accompagnati, a piedi, seguendo percorsi boschivi, nuovamente fino alla località di Pomjan o zone limitrofe, ove venivano fatti salire a bordo di autovetture (con o senza staffetta) condotte da altri componenti del gruppo incaricati di raggiungere la città di Trieste, mentre i passeurs prendevano posto su autovetture diverse da quelle con a bordo i clandestini, viaggiando separatamente da quest’ultimi. Il corrispettivo richiesto per ogni migrante trasportato ammontava tra i 200,00 e i 250 € ed, a volte, nella medesima giornata venivano effettuati anche più trasporti.
Come risultato da una conversazione captata, nel corso dell’attraversamento a piedi dei sentieri boschivi, il passeur racconta all’organizzatore che i migranti che stava accompagnando non volevano camminare, tanto che è stato costretto a picchiarli, aggiungendo che i predetti erano così alterati dall’ingente assunzione di bevande energetiche che uno di loro, dopo aver ricevuto degli schiaffi, rideva. In altra occasione è stato evidenziato come i passeurs costringessero i bambini ad assumere dei sonniferi o comunque sostanze obunubilanti, ansiolitici o forse droghe, al fine di evitare l’eventualità che gli stessi potessero piangere durante le tribolate fasi del cammino notturno attirando, con ciò, l’attenzione di passanti o forze dell’ordine.