Luigi Di Maio alias il traditore è alla corde. Sul web lo prendono a pesci in faccia: “Vattene, insopportabile”

«Pretendiamo rispetto», ha detto più volte Luigi Di Maio. Parole al vento. Sui social è il più bersagliato. Lo sbeffeggiano in migliaia, con battute, sfottò e vignette. A partire dal simbolo del partitino, che su facebook viene trasformato in “Insieme per il congiuntivo”, tanto per ricordare quanto il ministro sia un po’ scarso in grammatica. Oppure “Bibbiano è il paese che amo”. E ancora: “Quando si discute di merendine e bibite, per una volta sei il più preparato di tutti”. Gli insulti sono a pioggia, i meno volgari “traditore”, “arrivista”, “vattene”, “poltronesofà”. Ma le stangate pesanti gli arrivano dal mondo della politica, da ex-amoco e avversari. Ne esce male, “Giggino”. Anzi, malissimo.  Nelle ultime settimane è un fiume.

«Io non ho mai pensato che Di Maio non avesse i titoli per candidarsi», uno degli affondi di Calenda. «Non aveva alcuna esperienza di governo e ha voluto il Ministero dello Sviluppo Economico che raggruppa 4 ministeri. Ma Di Maio ha detto non mi basta, ne voglio un quinto: il ministero del Lavoro. È arrivato, ha rimosso tutte le persone che c’erano prima ha messo i suoi. Io gli imputo la mancanza di umiltà».

Giuseppe Conte, invece, ha sottolineato le «voraci pretese di posti sicuri» di Tabacci e Di Maio.  Luigi traditore? «C’è fortissima delusione, anche umana, adesso sta cercando un posto vicino a Bibbiano». Renzi ha commentato con ironia: «Con il Pd c’è Di Maio, quello che ha abolito la povertà dal terrazzino di palazzo Chigi. Il Pd si presta a questa sceneggiata».

Battute velenose da Alessandro Di Battista. «Luigi Di Maio non ha un voto. Chi conosce il fanciullo di oggi, lo evita. Trasformista, disposto a tutto, arrivista. Incline al più turpe compromesso pur di stare nei palazzi. Perché il Pd dovrebbe concedergli il “diritto di tribuna? Che rassicurazioni ha avuto mesi fa, quando portava, insieme a Grillo, il M5s tra le braccia di Draghi? Queste sono domande che dovrebbero avanzare i giornalisti».

«Le avevamo viste tutte», aveva commentato a caldo Maurizio Gasparri. «Ma quella di uno che fonda un partito e per paura di non essere eletto si candida in un altro ci mancava». Dalla serie, «metto in mare un gommone, lo vedo sgonfio. Poi, abbandono i naviganti del gommone con ben impresso il mio nome sulla fiancata. E salgo a bordo di una barchetta un po’ più confortevole. Siamo all’incredibile».

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