Lampedusa scoppia, la paura potrebbe essere…

L’eco del motore delle motovedette della Guardia Costiera risuona nel porto di Lampedusa già dalle prime ore del mattino. Gli equipaggi lasciano il molo e prendono il largo.

Il pattugliamento ormai è un rituale. L’obiettivo è quello di evitare altri naufragi, l’attenzione è alta. Altissima. Il mare mosso permette di prendere un sospiro di sollievo. Una pausa dall’emergenza continua. Il vento agita le acque, il sole è cocente. Brucia. Gli occhi dei giornalisti fissano l’orizzonte in cerca di un barchino. I turisti vestono i panni dei fotografi e aspettano di scattare la foto perfetta. Di filmare qualche barca carica di africani da pubblicare sui social.

I migranti arrivano, anche tanti. Dal primo gennaio ad oggi sono oltre 65 mila quelli sbarcati sulle nostre coste. Solo sabato 240 e nella settima appena trascorsa oltre 3 mila hanno toccato il suolo italiano. O meglio, quello europeo. Anche se qui, a Lampedusa, di Europa c’è solo la «porta». Un monumento dedicato ai migranti ormai corroso dal tempo, divorato dalla ruggine. L’hotspot della piccola isola è saturo ma non al collasso, ci tengono a dire dalla Croce Rossa. 513 i migranti temporaneamente accolti ma l’hotspot potrebbe ospitarne al massimo 400. È presidiato da un plotone di polizia. Mai così tanta. Mentre tutti gli altri migranti hanno già preso il largo facendo rotta verso la Penisola. L’obiettivo è anche quello di evitare tensioni. Il sovraffollamento che potrebbe far scoppiare la scintilla. Meglio evitare. Soprattutto ora, con la protesta delle banlieue francesi che si espande. Le notizie arrivano anche qui, viaggiano sui social. Meglio alleggerire. Così la nave militare Cassiopea ha fatto da spola con Pozzallo trasferendo un nutrito gruppo di migranti, la nave Dattilo, invece, ne ha portati 489 a Reggio Calabria e 200 a Messina per non parlare poi delle navi di linea. Il traghetto Galaxy ne ha trasferiti 400 a Porto Empedocle. Una nave italiana, la «Calajunco M» ne ha salvati 70 alla deriva e li ha trasportati fino a Trapani. Mentre la Ong tedesca Sos Humanity viaggia verso Ortona, Chieti, con 199 immigrati a bordo e minaccia un’azione legale contro l’Italia rea, a loro dire, di assegnare alle navi umanitarie porti lontani dalla zona dei soccorsi.

I numeri fanno tremare e le previsioni sono tutt’altro che buone. «Da mercoledì qui riprendono a sbarcare!». Ne è convinto un pescatore che disturbiamo mentre è intento a ricucire le reti. «Appena cala il vento riprendono le partenze» prevede. La Guardia costiera Tunisina fa sapere di aver bloccato 65 partenze. 47 barchini sono stati intercettati a Sfax, Kerkennah e Mahdia con 1.879 migranti provenienti dai Paesi dell’Africa sub-sahariana. Altri 18 tra barche e kayak, invece, sono stati bloccati a largo di Nabeul, Sousse e Monastir. 189 i migranti che hanno cercato di raggiungere il nostro Paese. Tutti numeri che si sommano ai migranti già ospitati nelle diverse regioni d’Italia. Sono 116.834 gli extracomunitari attualmente in carico al sistema di accoglienza nazionale. 14.076 in Lombardia; 11.410 in Emilia – Romagna e così via. Sicilia e Calabria sono piegate dalla prima accoglienza a da grandi hotspot come quelli di Pozzallo, Messina e Crotone. Un fenomeno quello dell’immigrazione clandestina che sembra inarrestabile ma che il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi vuole fermare. A tutti i costi. «L’obiettivo resta quello di ridurre gli sbarchi e, soprattutto, le partenze grazie agli accordi bilaterali» ci dicono fonti vicine al titolare del Viminale che si prepara a raggiungere l’isola domani insieme al commissario europeo agli Affari interni Ylva Johansson. Rimandare indietro, rimpatriare chi arriva illegalmente. Magari in 7 giorni. È questa l’ambizione di Piantedosi. Facile a dirsi, difficile da mettere in pratica. Ma qui c’è chi sogna di raggiungere la Francia o il Belgio. «Non ci fermeremo» ci dicono alcuni migranti da dietro le sbarre dell’hotspot di Lampedusa. Il prossimo obiettivo ora è quello di attraversare le Alpi. La strada è lunga e il cammino difficile, «ma dopo il deserto e il mare non ci spaventa più niente» dice Assan, 19 anni.

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