La guerra apre scenari pessimi anche nel nostro Paese. La jihad guarda all’Italia. “Rischio rientro dei foreign fighters”

In Italia resta alto il grado di attenzione riservato a un rischio concreto: il ritorno dei foreign fighters nel nostro territorio nazionale, “sia pure in stato di arresto o sotto falso nome”. Un obiettivo che potrebbe essere portato a compimento cavalcando l’onda di una serie di circuiti che si dedica all’immigrazione irregolare. La lista consolidata si attesta su circa 200 persone, di cui 56 deceduti.

È questo l’allarme contenuto nella relazione annuale dell’intelligence: sotto la lente di ingrandimento degli 007 sono finiti i “colpiti da mandato di cattura internazionale per reati di natura terroristica, capaci di adattarsi temporaneamente e in maniera sommersa al territorio ospite, pur coltivando significative relazioni con estremisti all’estero”.

L’Italia risulta essere all’attenzione della galassia mediatica jihadista, con la riproposizione in chiave minatoria di “simboli nazionali, come la bandiera italiana e il Colosseo, nonché di immagini di luoghi o personaggi simbolo della cristianità”. Tra questi rientrano Piazza San Pietro e il Pontefice.

Nello specifico l’Isis – ponendo in risalto quanto l’Italia sia impegnata nella lotta al terrorismo – ha veicolato “messaggi di minacce alla Coalizione crociata europea e appelli a diffondere il terrore in Occidente, ribadendo, tra l’altro, anche la promessa di conquistare Roma”. Come riportato dall’Ansa, monitorati anche i fenomeni della radicalizzazione nelle carceri e sul web.

L’Europa continua a essere esposta alla dinamica degli attacchi di matrice jihadista: la forte minaccia è rappresentata anche da tutti quei micro-gruppi o circuiti più ampi e transnazionali, che nella maggior parte dei casi sono composti da elementi “radicalizzati attivi online e in contatto fra loro soprattutto tramite i social network”.

Comunque lo scorso anno si è registrata una riduzione non solo del numero degli attacchi commessi, ma anche della loro letalità rispetto al 2020: “L’Europa è stata colpita da azioni ‘a bassa tecnologia’, condotte da attori solitari, privi di legami con organizzazioni terroristiche”. Queste tipologie di attivazioni autonome si sono connotate per la loro imprevedibilità e hanno messo in evidenza “il ruolo determinante della propaganda jihadista nel passaggio all’azione violenta”.

Dalla relazione annuale dell’intelligence emerge che sia Al Qaida sia Daesh non hanno interrotto affatto il processo di riorganizzazione dei rispettivi assetti. Anzi, in entrambi i casi si è arrivati a una “decentralizzazione delle strutture di comando e controllo e a una conseguente moltiplicazione di fronti”. La volontà dello Stato Islamico di ristrutturare il proprio sodalizio è apparsa evidente in Siria e in Iraq, “dove il network sta rafforzando la propria base operativa, sfruttando, tra gli altri, il terreno fertile offerto dai campi di detenzione”.

Non è passato inosservato il ruolo “non più marginale” delle donne nelle dinamiche logistico/operative delle organizzazioni jihadiste: le figure femminili, appartenenti ai nuclei familiari di noti estremisti, “stanno gradualmente assumendo ruoli chiave” nello svolgimento di attività connesse ad esempio all’indottrinamento, al reclutamento online, alla divulgazione di materiale propagandistico e alla triangolazione delle comunicazioni tra i componenti dei circuiti radicali “per eludere le misure di controllo delle Autorità”. Un trend che sarebbe confermato dell’arresto dello scorso novembre a Milano nei confronti di una giovane estremista italo-kosovara, coniugata con un membro dei “Leoni dei Balcani”.

Pubblicato da edizioni24

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