[…] La figuraccia di Luigi Di Maio sul blocco dei militari in Libia. Meglio che torni a vendere bibite allo Stadio, almeno si rende utile a qualcosa…

L’affaire dei militari italiani fermi per settimane a Misurata si è definitivamente (e finalmente) sbloccato grazie all’intervento del governo. I militari della Missione bilaterale di assistenza e supporto (Miasit) potranno finalmente rientrare in Italia dopo settimane di attesa in cui ai colleghi pronti a prendere il loro posto non venivano rilasciati i visti per i passaporti. Una situazione complessa, già accaduta in passato, ma che dimostra che esiste un problema nei rapporti tra Roma e Tripoli.

Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha affermato che “questo risultato, per il quale ringrazio anche il Ministro Guerini, è un importante segnale di collaborazione mostrato dalle autorità libiche, che si inserisce nell’ambito della più ampia e strategica cooperazione bilaterale tra Italia e Libia“. E anche lo stesso ministro della Difesa ha ribadito che tutto questo “è l’esito di un lavoro positivo, conclusosi in queste ore, frutto della proficua sinergia istituzionale, anzitutto con le autorità libiche, che voglio ringraziare per la collaborazione”.

Certo, il bon ton politico impone affermazioni diplomatiche e tjese a evitare lo scontro. Ma di qui a definire un risultato di sinergia e grande collaborazione tra Italia e Libia l’aver sbloccato, dopo settimane, il “sequestro” di 200 militari impegnati in una fondamentale missione internazionale, significa non avere ben chiaro il ruolo che ha l’Italia nel Paese nordafricano. Perché questo fatto dimostra, ancora una volta, il fatto che ci sia un problema legato non solo alla presenza italiana, ma alla capacità di Roma di costruire un canale di dialogo costante con Tripoli imponendo, se non una propria agenda, almeno l’idea di essere un partner riconosciuto come interlocutore privilegiato.

La risposta tardiva data da Tripoliè soprattutto il frutto di due elementi che si intersecano tra loro. E che confermano un quadro abbastanza fosco dei nostri risultati politici con le controparti libiche. Da una parte c’è il problema legato alla perdita di peso di Roma tra i vertici tripolini e misuratini, nettamente in calo in questi ultimi anni nonostante l’importanza che il dossier libico riveste per l’Italia. Le nostre aziende sono pronte a intervenire in modo capillare nella ricostruzione, i nostri militari sono sul campo, l’intelligence italiana ha una rete estremamente radicata e abbiamo sempre sostenuto formalmente il Governo di accordo nazionale. Tutto questo avrebbe dovuto fornirci una posizione di vantaggio, correlata anche dai nostri rapporti storici con il Paese nordafricano e la posizione geografica di Paese praticamente frontista. Tuttavia, nonostante il credito con cui dovrebbe presentarsi l’Italia, in questi ultimi mesi da parte di molte fazioni libiche sono arrivate spesso pessime notizie o gesti rappresentativi di una inquietante ostilità. Basti pensare, solo di recente, al caso dei pescatori italiani, con tentativi di sequestro e spari contro le imbarcazioni italiane.

A queste difficoltà di rapporti tra italiani e libici, si aggiunge poi la questione Misurata, da tempo al centro di un problematico triangolo strategico tra Italia, governo libico e Turchia. Ankara ha da tempo scelto quella città costiera come hub strategico. Qualcuno addirittura parla di una base navale in città, ma quello che è certo è che sono presenti consiglieri militari turchi, agenti dei servizi e soldati. E il porto è stato spesso il centro nevralgico della strategia marittima turca durante le fasi più calde del conflitto, tanto che la città è diventata una vera e propria base della bolla difensiva a protezione dei combattenti del Gna.

L’ospedale militare italiano e i duecento uomini delle Forze Armate presenti nella città non piacciono a molti libici né ai turchi, che su quell’area hanno da tempo messo gli occhi. “Per questo – spiega Giovanni Tizian per Il Domani – il sospetto di chi ha seguito il dossier nei ministeri interessati è che la crisi dei visti, innescata dall’ambasciata della Libia a Roma, sia in realtà un sottile ricatto”. E quindi “la battaglia dei visti potrebbe essere quindi un modo per esercitare pressioni sull’Italia”. Di mezzo c’è soprattutto la volontà di utilizzare quel campo.

Alcuni tendono a ridurre la portata di questa pressione specialmente dopo l’incontro tra Guerini e il suo omologo turco. Nel frattempo c’è stata poi la visita a Roma di Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh e la Nato si è riunita a Bruxelles, con il nodo libico che è stato rimesso sul tavolo. La Turchia non vuole aumentare il livello dello scontro, perché Recep Tayyip Erdogan vuole dimostrare di saper dialogare con i partner Nato e con quelli dell’Unione europea. Tuttavia la presenza militare e politica turca non può essere sottovalutata, soprattutto perché, anche se la guerra è finita nelle sue forme più violente, è chiaro che attualmente sia solo Ankara a mettere al riparo la Tripolitania da qualsiasi avanzata di Khalifa Haftar. E questo è un dato che interessa non solo ai libici, ma anche al Pentagono. Gli Stati Uniti temono la presenza dei mercenari russi e di altre forze esterne all’Alleanza atlantica.

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