Intercettazioni, non sarà più come prima. Saranno verificate in un archivio più sicuro

C’era il rischio di combattere con armi spuntate contro gang in grado di compiere reati odiosi e gravissimi. GIORGIA Meloni aveva paventato «effetti dirompenti sui processi in corso» e ci ha messo una toppa.

Ecco così il decreto che estende a una serie di crimini di grande allarme sociale – dai sequestri a scopo di estorsione al traffico illecito di rifiuti e dai crimini commessi con l’aggravante del metodo mafioso al terrorismo – l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche.

È proprio sulle captazioni che si snodano gli articoli più importanti del decreto giustizia varato in piena estate dal governo di centrodestra.

La prima misura è quella in cui lo Stato e il ministro della giustizia Carlo Nordio mostrano il lato muscolare della coalizione: ecco il pugno di ferro con i malfattori, dopo una sentenza della Cassazione del 2022 che aveva definito il concetto di «criminalità organizzata» restringendo di fatto il perimetro di azione delle procure.

Ora i pm potranno piazzare le cimici per tutta una serie di fatti che sarebbero rimasti fuori dopo il verdetto della Suprema corte.

Ma non c’è solo questo, perché la maggioranza ha anche un’anima garantista e la mette a frutto in un altro passo del provvedimento: quello che istituisce l’archivio centralizzato, o meglio «archivi digitali Inter- distrettuali» per conservare con le opportune garanzie di riservatezza le conversazioni «ascoltate» dagli apparati investigativi. In pratica, ogni procura continuerà a lavorare autonomamente ma i dati verranno convogliati in queste infrastrutture. Questi depositi supercontrollati, per evitare fughe di notizie, seguiranno la geografia delle corti d’appello e si conteranno sulle dita di una mano.

Insomma, non siamo davanti a una rivoluzione ma questo è un altro tassello di quella giustizia efficace e rispettosa dei diritti che è nel programma della Meloni e nella testa del guardasigilli Nordio.

Dopo mesi di stallo, il convoglio delle riforme si è messo in moto. È appena approdato al Senato il primo pacchetto di norme scritte dal ministro della giustizia. Dentro ci sono molti interventi in settori delicati e su punti infiammati: c’è l’abolizione dell’abuso d’ufficio, invocata fra le polemiche anche da molti sindaci del centrosinistra, e c’è la rimodulazione del traffico di influenze, una fattispecie fin qui a tratti evanescente.

E ancora, in un disegno ambizioso, c’è il proposito di trasformare il giudice che decide l’arresto in un organo collegiale e, nei limiti del possibile con tutte le eccezioni del caso, si vuole anticipare l’interrogatorio dell’indagato. Prima risponde alle domande, poi, se non convince, va dentro. Ancora, per i reati meno pesanti, in caso di assoluzione il pm non potrà presentare appello. Insomma, un remake, anche se circoscritto e di modesta portata, della legge Pecorella, che dopo un verdetto di non colpevolezza sbarrava la strada alle procure, ma fu smontata dalla Consulta.

Ora ecco la doppia virata sulle intercettazioni. «Abbiamo adottato un provvedimento su richiesta delle procure e particolarmente della Direzione nazionale antimafia – spiega Nordio in serata – per garantire la sicurezza dei dati delle intercettazioni che oggi vengono gestite da 134 procure che resteranno sovrane nell’accesso ai dati, ma la gestione del server viene accentrata in 4 sedi per garantire l’integrità e la segretezza di queste delicatissime strutture colme di dati sensibili. Io – conclude Nordio – sono contrario alle intercettazioni a strascico ma non all’intercettazione come mezzo di strumento della prova dei reati più gravi». Quelli nel mirino di questo decreto.

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