In Turchia scatta Mavi Vatan 2021: navi in acqua

Le forze armate turche tornano nell’Egeo e Mediterraneo orientale. In questi giorni, nelle acque della Turchia, si svolge infatti una delle più importanti esercitazioni militari: Mavi Vatan 2021. Secondo le informazioni diramate dal ministero della Difesa di Ankara, sono attualmente impiegati nelle manovre militari ben 87 mezzi navali, 27 aerei e 20 elicotteri, insieme alle forze anfibie che si eserciteranno in simulazioni di sbarco.

Un numero di unità impressionante: segno eloquente che la Turchia non vuole far passare il messaggio che la sostanziale calma degli ultimi mesi venga tacciata per una resa rispetto alle sue richieste avanzate questa estate, quando l’escalation con la Grecia ha rischiato di scatenare un pericolosissimo effetto domino per il Mediterraneo e la Nato.

L’esercitazione Mavi Vatan 2021 si svolge nell’Egeo e nel Mediterraneo orientale e in parte nel Mar Nero. Mari di primo piano per la strategia turca. Il nome delle manovre è eloquente: Mavi Vatan, la Patria Blu, è il nome della dottrina su cui si basa la svolta navale turca. La dottrina, ideata dallammiraglio Cem Gurdeniz ha come primo obiettivo proprio quello di ricomporre la strategia turca fondandola su due binari: nuova ripartizione delle acque dell’Egeo e del Mediterraneo orientale e possibilità per la Turchia di sfruttare quelle aree che considera di sua sovranità. Come spiegato in altri articoli, il timore nasce dalla Mappa di Siviglia: uno studio che circola in Ue e che secondo Ankara chiuderebbe la Turchia in una guscio terrestre senza possibilità di avere accesso al mare, lasciando invece ad Atene la possibile di rendere queste acque un “lago ellenico”.

Le esercitazioni sono un messaggio rivolto alla Grecia? Non solo. In realtà quello della Turchia è un segnale che, come rivelato a InsideOver da fonti di alto livello, si rivolge a tutto il mondo. E il motivo è da ricercare anche in quello che sta accadendo in questi ultimi tempi proprio sul fronte del Mediterraneo allargato.

Chiaramente si tratta di manovre programmate da tempo: impossibile quindi interpretarla esclusivamente alla luce di quanto avvenuto recentemente nello scenario di riferimento. Tuttavia, non va sottovalutato il momento in cui questo avviene.

Da una parte, c’è un rapporto tra Ankara e Atene che non accenna a mostrare reali segnali di distensione. I due governi hanno ripreso un dialogo interrotto da cinque anni, ma in questi giorni sono tornati a esserci segnali di tensione. La Grecia vorrebbe il blocco della vendita di armi e unità militari alla Turchia. Ankara accusa l’aeronautica ellenica di aver intimidito la nave turca Tgc Cesme a sud di Lemno. La Grecia ha respinto ogni accusa chiedendo invece all’Europa di prendere misure più dure nei confronti del vicino turco. Non un segnale di distensione.

Dal punto di vista internazionale, in questi ultimi tempi, specialmente con il cambio di amministrazione in America, la Turchia sente la necessità di tornare a negoziare con gli Stati Uniti. La presidenza Trump ha bloccato l’acquisizione da parte della Turchia degli F-35 e ha imposto sanzioni (non particolarmente dure) al Paese anatolico. Ma le relazioni tra i due Stati si erano fatte particolarmente difficili già dopo il fallito golpe del 2016, con l’allineamento di Ankara con Mosca per gli S-400 e il sostegno americano ai curdi in Siria. Il ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, ha detto a proposito dei sistemi russi che Ankara è in attesa di una risposta da Washington.

Con Joe Biden le cose potrebbero prendere una piega diversa? Difficile dirlo. Il gelo tra Arabia Saudita e Stati Uniti potrebbe riportare in auge il ruolo turco; e del resto i dem americani hanno mostrato, a suo tempo, di sostenere quella Primavera araba che aveva avuto con Erdogan un comune denominatore nei Fratelli musulmani.

Le cose però non sono affatto così semplici. Gli strateghi della Mezzaluna e quelli americani sanno che esistono questioni molto spinose da affrontare: caccia di ultima generazione, rapporti con la Cina, ruolo nella Nato e relazioni con la Russia sono all’ordine del giorno e resta il nodo Grecia, con la Turchia che è perfettamente consapevole che a Washington molti parteggiano per l’alleato ellenico. Si aggiunga poi un dato politico e culturale da non sottovalutare: dietro Mavi Vatan c’è un mondo che è molto lontano da quello considerato neo-ottomano e che vede con ostilità la dipendenza strategica dalla Nato. Una differenza sostanziale anche con il “Sultano”.

In questo difficile equilibrismo tra autonomia e dipendenza strategica, tra propaganda del governo e dottrina navale, Ankara sa di poter di mettere sul piatto una capacità operativa che per il Pentagono può essere ancora importante, specialmente in un Medio Oriente perennemente instabile e con alleati che non possono garantire molto in termini strategici. Le esercitazioni della Marina turca e americana nel Mar Nero di due settimane fa potrebbero essere un segnale interessante.

In ogni caso, la Turchia, confermando questa nuova dottrina – che i suoi ideatori ritengono eminentemente di autodifesa – ribadisce di voler completare una trasformazione che si basa anche sulla rinnovata capacità delle forza aeronavale, sia nell’alveo della Nato che come potenza autonoma. Questo è in fondo l’obiettivo finale di Mavi Vatan: trovare un’indipendenza sempre più marcata, riformulando la geopolitica turca.

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