Il Pd è stato fenomenale, è passato dal campo largo al camposanto senza rito: per i grillini è stato un massacro

Per i grillini è stato un massacro. E la strategia del PD è fallita. Sono passati dal campo largo al «campo stretto. O addirittura, per i più perfidi, al camposanto.

A urne chiuse il Pd, che pure può rivendicare un ottimo risultato di lista, e il primato «da nord a sud», dice Francesco Boccia, di partito più votato (parecchio sopra quello di Giorgia Meloni), si ritrova alle prese con un problema che di qui alle prossime politiche minaccia di deflagrare: «L’elefante nella stanza», dice – parafrasando la locuzione anglosassone – Alessandro Alfieri, punta di lancia della corrente di Base Riformista, che fa capo al ministro Lorenzo Guerini. «Non si può far finta di niente: i 5 Stelle, soprattutto a Nord ma persino in Sicilia, non ci sono più. A Palermo prende più voti Calenda di loro: mi pare assai indicativo», nota Alfieri. Che sottolinea il successo del Pd, ma anche di molte liste «che rappresentavano un civismo riformista, ambientalista o di sinistra: chi può intercettare quei voti alle prossime politiche? Escluderei possano essere i M5s».

Fuori dal Pd, Matteo Renzi è drastico: «Queste elezioni segnalano una vittoria sostanziale del centrodestra, ma soprattutto dipingono un quadro in cui il grillismo è finito. Se fossi ancora un dirigente Pd mi porrei il tema di fare un’alleanza con il centro riformista, che fa buoni risultati sia con i nostri candidati che con quelli di Azione e Più Europa, e non con M5s». A Palermo, un granaio di consensi clientelari grillini, ora si sprofonda al 6%. A Padova o Lodi 1%. A Parma cancellati dalla faccia della terra, a Verona desaparecidos. Nella Genova di Grillo un triste 5%: «I dati parlano chiaro – avverte l’ex capogruppo Marcucci – in molti luoghi si vince senza M5s: per competere il Pd deve dialogare col centro e i civici».

Il problema, in verità, se lo stanno ponendo in molti nel Pd. Enrico Letta (nel tondo) rivendica le vittorie di Lodi, Padova e Taranto e si dice ottimista sui ballottaggi: «Vinciamo uniti». Con chi, non è chiaro. Davanti alle telecamere manda il suo vice Peppe Provenzano (che il segretario dem vorrebbe candidare in Sicilia alle prossime regionali, ma lui resiste pensando a più alti destini nazionali) e Boccia, che indefesso assicura: «Insisteremo sull’alleanza con i 5S». Però, assicurano alcuni dei suoi, Letta ha chiaro il problema: il centrodestra litiga e si sbudella, ma al dunque si unisce per prendere i voti. Il centrosinistra, invece, non c’è: c’è il «perno» Pd, e attorno solo macerie (quelle di Giuseppe Conte, nel tondo) o potenziali alleati come Calenda che sembrano intenzionati a sottrarsi all’abbraccio elettorale per correre in proprio «per monetizzare il proprio consenso puntando su uno stallo che provochi un Draghi bis», dicono al Nazareno. «Così però nei collegi verremo asfaltati», sospira un parlamentare.

Per questo lo stesso segretario, si dice, a questo punto preferirebbe una riforma proporzionale, già sostenuta da gran parte del suo partito: «Ha chiaro che se Calenda va per conto suo e noi ci riduciamo a dividerci i collegi con Conte, prendiamo una tranvata: chi vuol votare per un Pd draghista e riformista fugge davanti ai grillini». Tant’è che al Nazareno già si studiano piani di emergenza per candidare nei collegi solo «esterni» non di partito, e lasciare i 5S solo nelle loro liste di partito. Provenzano tenta di ributtare la palla ai potenziali alleati centristi: «Volete partecipare alla coalizione progressista o far vincere le destre?». Ma l’argomento non è nuovo né fortissimo. Ora tra i dem c’è anche il timore che la batosta incassata da Conte (e Salvini) li spinga a mosse disperate, come bloccare le riforme e tentare di far saltare il governo Draghi. «Ma se Conte ci prova i suoi lo cacciano a pedate», rassicura un senatore. Nei prossimi mesi, però, si ballerà parecchio.

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