Gaetano Daniele: “Riforma della Giustizia? Portavo i pantaloni alla zuava quando ne sentivo parlare… Sono passati 30 anni, e se ne parla ancora”

By Gaetano Daniele

Portavo i pantaloni alla zuava quando sentivo parlare di riforma della Giustizia. Sono trent’anni, almeno, che questo Paese attende una riforma della giustizia, invano. Ci sono stati interventi parziali, referendum e quant’altro ma alla fine, saltato l’equilibrio tra i poteri a scapito della politica, il sistema, invece di migliorare, specie con l’avvento al governo della cultura giustizialista che è nel Dna grillino, è peggiorato.

Nel tempo la magistratura ha perso la credibilità che aveva, le congetture sull’uso politico delle inchieste si sono trasformate in certezze (Palamara docet) e il numero delle condanne ingiuste o delle carcerazioni ingiustificate è aumentato. Addirittura l’istituto della custodia cautelare, che ha come finalità quella di impedire la reiterazione del reato, si è trasformato in uno strumento di pressione nei confronti dell’imputato, più o meno come l’Inquisizione utilizzava la tortura per strappare una confessione. Siamo arrivati al punto che ora è l’Europa a chiederci di fare qualcosa, di rendere più efficiente e più trasparente la nostra giustizia civile e penale.

Rispetto l’opinione di chi è convinto che argomenti così delicati dovrebbero essere decisi nelle aule parlamentari e non sull’onda di iniziative popolari. È ciò che avviene nei Paesi normali. Ma noi, almeno da questo punto di vista, non siamo un Paese normale. Tutt’altro. In Italia inchieste (che poi si sono rivelate in molti casi fallaci) hanno fatto saltare governi, ministri, governatori, sindaci e assessori: l’operato di alcuni Pm ha cadenzato la storia della Prima, della Seconda e della Terza Repubblica. Nel mirino è sempre finito il potente di turno, o peggio, a pagarne le conseguenze è sempre stato il cane più bastonato. “Che sia di esempio a tutti”, insomma.

Di fatto una pseudo filosofia ha ispirato l’azione di alcuni Pm: dimostrare che la classe dirigente di questo Paese era composta da criminali, per cui per governare dovevi avere il beneplacito del potere giudiziario. “Non esistono politici innocenti ma colpevoli su cui non sono state raccolte le prove” teorizzava, appunto, Piercamillo Davigo.

Per venire a capo di una situazione così compromessa, per condurre in porto una riforma della giustizia all’altezza, mi sono convinto che ci sia bisogno di una rivoluzione pacifica di un punto e a capo, per dimostrare alla magistratura politicizzata che l’umore del Paese è cambiato. Uno shock per dare anche più forza al tentativo del ministro Marta Cartabia di approvare la riforma in Parlamento. E, contemporaneamente, per fissare dei principi con il consenso popolare dai quali non si possa tornare indietro.

Questo punto e a capo sono i referendum sulla giustizia, che avranno pure la mia firma.

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