Di Maio è ancora convinto di prendere per il culo gli italiani con le sue supercazzole: “Il centrodestra è sfasciaconti”. Lui, invece, ha abolito la povertà: la sua

In un Paese appena appena serio uno come Luigi Di Maiocamminerebbe rasentando i muri per paura di essere riconosciuto. In Italia, invece, giornalisti ed opinionisti lo riveriscono come un oracolo consentendogli persino di sputare sentenze e di tranciare giudizi. Parliamo di uno cui non basterebbe un’enciclopedia per raccogliere tutte le supercazzole, per quanto pronunciate in grisaglia d’ordinanza e con aria di sussiego. Ecco, in questa Italia non stupisce nessuno che un Di Maio così se ne vada in giro a a bollare come «trio sfasciaconti» MeloniSalviniBerlusconi e a giocare al piccolo statista dicendo che con il centrodestra al governo, «più che un rischio democrazia» lui vede un «rischio default».

Accipicchia! Detto da quello che dal balcone urlò di aver «abolito la povertà» fa un certo effetto. Tanto più che la misura che l’avrebbe cancellata – il reddito di cittadinanza – ha fallito proprio laddove eravamo ansiosi di sperimentarne i miracolosi effetti: accompagnare gli inoccupati al lavoro. Invece, li ha fatti solo accomodare sul divano di casa. E per di più, a spese del contribuente. Un colpaccio, soprattutto per i conti pubblici. Peccato per Di Maio che a raccogliere i frutti della gigantesca operazione di voto di scambio sia il suo ex-Movimento, lo stesso che ora tenta di svilire come il «partito di Conte». Beghe loro.

Tuttavia è impossibile non rimarcare che mentre il M5S di Giuseppi risale nei sondaggi, l’Impegno Civico  di Giggino vi si vada inabissando: appena lo 0,9 per cento. Un po’ poco per coltivare ambizioni di una certa grandezza, le stesse cui Di Maio si è presto abituato. Ma oggi il vero obiettivo è tornare nel Parlamento formato bonsai. E a meno di clamorose sorprese, non dovrebbe mancarlo: infatti, a differenza dei 60 gonzi che lo hanno seguito nella scissione, il collegio piazzato lo ha ottenuto. E in questo una certa coerenza gli va riconosciuta: almeno la povertà personale (nel 2013, anno della prima elezione alla Cameraaveva dichiarato zero euro), Giggino l’ha davvero abolita.

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