Coronavirus, Conte avvisato a gennaio. Ma perché non si è mosso subito? E sui morti, perché non dice la verità?

By Gaetano Daniele

Il Premier Giuseppe Conte non dice tutta la verità, o meglio mente. E l’unico giornalista rimasto a difenderlo si chiama Marco Travaglio, che pare abbia venduto l’anima al diavolo. Si, perché il giornalista vicino a Grillo, afferma che il Premier Conte a Gennaio non sapeva un cazzo, e quindi cosa doveva chiudere? Ed anche questo è falso. I rischi erano stati sbattuti sulla scrivania a gennaio, e l’esecutivo ha sottovalutato i rischi. Infatti, se avessimo avuto un esecutivo serio, questa emergenza non sarebbe a questo stadio. Ed è inutile nascondere la polvere sotto al tappeto, ormai l’Italia ha aperto gli occhi. Anzi, se proprio vogliamo dirla tutta: ai primi di febbraio c’era la certezza che il misterioso virus proveniente dalla Cina avrebbe mandato al collasso le terapie intensive dell’intero Paese. Ma torniamo a gennaio. In quei giorni gli italiani ascoltano con apprensione quanto sta accadendo in Cina. In un primo momento le notizie non sono così drammatiche ma in breve la situazione precipita. Le iniziali decine di casi di polmonite grave diventano centinaia e, per la prima volta, si parla di Covid-19. L’Oms cerca di capire cosa sta accadendo, recupera i dati e li gira ai governi di tutto il mondo, Italia compresa.

Il 5 gennaio il ministero della Salute invia all’Istituto superiore di sanità, l’ospedale Spallanzani di Roma e il Sacco di Milano, una nota di tre pagine intitolata “Polmonite da eziologia sconosciuta”. Dal dicastero spiegano, in breve, la vicenda cinese: dalla chiusura del mercato ittico di Wuhan ai sintomi precisi per riconoscere il contagio scatenato dal virus.Nel documento si spiega nel dettaglio che “i segni e i sintomi clinici consistono principalmente in febbre, difficoltà respiratorie, mentre le radiografie al torace mostrano lesioni invasive in entrambi i polmoni”. Passano i giorni e la situazione in Cina precipita, fino al lockdown di Wuhan e della provincia dello Hubei.

Dopo queste prime avvisaglie, una qualsiasi persona con un po di materia grigia, consapevole che l’Italia è in stretta collaborazione con la Cina, chiude i collegamenti, chiude i porti, e chiude stadi e ogni forma di assembramento fino a capire l’evoluzione di questo virus. Ciò non solo non è stato fatto ma i vertici sanitari non hanno neanche trasmesso le sintomatologie del virus ai medici di base operativi sul territorio; solo dopo il 21 febbraio, quando cercavano di trovare il paziente 1, con la lucina dello smartphone, si è tornato a parlare di misteriose polmoniti avvenute a cavallo tra dicembre e gennaio. Iniziano quindi le prime riunioni ma il nuovo coronavirus viene ancora considerato un rischio lontano. Tanto è vero che il Premier Conte, qualche giorno prima, ospite di Lilli Gruber, un’altra giornalista faziosa, comunica che è tutto sotto controllo. Ma a tranquillizzare non è solo Conte, anche Zingaretti, e lo stesso ministro della Salute Speranza. Alla fine di gennaio la Germania segnala quattro casi di Covid-19. L’Italia, guardando solo alla Cina, chiude gli scali da e per la Cina, e il governo annuncia di essere “pronto”. Pronto a cosa? A contare? Il problema è che il virus, già era industirbato nei nostri corpi in attesa di scoppiare. I giorni passano, Conte chiacchiera e il Covid-19 fa terra bruciata.

Ma ad oggi, un’altra considerazione Va fatta. Ogni giorno i numeri ondeggiano sulle centinaia di decessi da o con coronavirus, ma le voci dai paesi e dalle città – a partire da Bergamo – raccontano un’altra drammatica realtà rispetto alle cifre sciorinate dalla protezione civile. La sensazione è che sia partita una spregiudicata opera di minimizzazione del numero delle persone finite a miglior vita. In questa macabra contabilità ci sono solo quelli che spirano in ospedale. Ma sono un’infinità i morti in casa. A Bergamo si calcola che siano dieci volte tanto.

Se il prima è stato sottovalutato, il dopo non è giustificato. Conte è un premier completamente inadeguato a gestire una gravità come questa.

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