Boom magistratura, 500 intercettazioni illegali: tegola sulla testa del pm Gianfranco Colace di Torino

Il pm Gianfranco Colace nel mirino dei giudici. Al centro la vicenda che lo vede protagonista: le intercettazioni a carico dell’ex senatore Stefano Esposito. Il pubblico ministero torinese verrà dunque interrogato nella giornata di martedì 7 ottobre nell’ambito del procedimento disciplinare. Il 21 novembre, invece, sarà la volta della Corte costituzionale in udienza a dover sciogliere i nodi delle conversazioni ascoltate e utilizzate contro uno dei leader della sinistra sì Tav piemontese. Intercettazioni registrate senza chiedere l’autorizzazione a Palazzo Madama. Si tratta di 130 intercettazioni usate e cinquecento quelle agli atti del processo contro Esposito e contro l’imprenditore Giulio Muttoni, a sua volta oggetto di 23.748 intercettazioni.

E pensare che il 10 novembre 2017 Colace, interrogando proprio Esposito, diceva: “Ci sono queste intercettazioni – in quel momento tre in tutto – che, nel caso in cui ci dovessimo determinare in un certo senso, occorre chiedere ovviamente al Senato l’autorizzazione per l’utilizzazione, altrimenti nei suoi confronti non sono utilizzabili”. Peccato però che l’autorizzazione non sia mai stata chiesta. A difendere Colace la Procura di Torino che definisce “occasionali” e “indirette” le intercettazioni. Eppure, si domanda Il Giornale, com’è possibile considerare occasionale l’ascolto seriale di una persona che rapidamente era stata identificata come parlamentare e dunque era coperta dallo scudo dell’immunità? Ma non solo, perché chi si chiede anche quali siano stati i costi di tali azioni. 

Nel frattempo il processo più importante, quello che vede Muttoni ed Esposito accusati di corruzione e traffico di influenze, è stato trasferito per competenza a Roma e dunque il boccino passerà al pm della Capitale che dovrà di nuovo, se lo riterrà, proporre il rinvio a giudizio degli indagati. L’altro filone, quello in cui i due sono indagati per turbativa d’asta, è stato dirottato dalla procura generale di Torino e nei giorni scorsi è arrivata la richiesta di archiviazione. 

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