By Massimo Sanvito (LQ)
L’antisemitismo serpeggia tra i quartieri, nelle polveriere multietniche di periferia e nelle vie patinate dei centri storici, sui marciapiedi e nei negozi, nelle moschee e nelle pance dei cortei che marciano al grido di «Israele fascista, Stato terrorista». La caccia all’ebreo, al momento limitata agli attacchi verbali, si ingrossa e si espande. Uomini che nascondono la kippah indossando un cappello e lasciano nell’armadio i vestiti con scritte ebraiche, ragazzini che si danno appuntamento in luoghi diversi e gruppi di fedeli che non si fidano più a radunarsi fuori dalle sinagoghe. Sono gli stessi vertici della comunità a metterli in guardia. Della serie: «Ebrei, nascondetevi».
Costretti a cambiare le proprie abitudini per evitare di essere insultati, minacciati o picchiati. Perché la tensione cresce e galoppa di pari passo con l’escalation militare in Medio Oriente. Suona forte il campanello d’allarme all’interno della comunità ebraica. Soprattutto nella Milano progressista dove le piazze pro Palestina, infarcite di inni ad Hamas, ex brigatisti, violenti dei centri sociali e imam che proprio non riescono a condannare il terrorismo islamico, sono la rappresentazione plastica dell’odio anti-ebraico. Tanto che la comunità meneghina ha attivato un centralino d’emergenza (al numero 3920105106) per segnalare «qualsiasi evento sospetto o di aggressione». Il presidente, Walter Meghnagi, ha inviato a tutti gli iscritti una lettera con un decalogo da seguire per prevenire violenze e minimizzare i rischi. Sono ore difficili per gli ebrei. E dunque nulla può e deve essere sottovalutato. Dal 7 ottobre, giorno dei primi blitz terroristici di Hamas contro Israele, la soglia di attenzione è stata innalzata ovunque, da Nord a Sud. Più di duecento, in tutta Italia, sono i luoghi legati al mondo dell’ebraismo sotto la lente d’ingrandimento degli investigatori. Può bastare una miccia per far scoppiare un incendio. E per questo il dialogo tra la comunità e le forze dell’ordine è costante e si sta rafforzando giorno dopo giorno.
«Stiamo adottando ogni provvedimento necessario per garantire che tutti i membri della nostra comunità possano continuare a svolgere le proprie attività, ebraiche e non, in un ambiente sicuro e protetto. La sicurezza e il benessere di ognuno di voi sono, e saranno sempre, la nostra priorità assoluta», scrive Meghnagi nella missiva che porta la sua firma. Una decina le regole con cui la comunità invita la propria platea a fare attenzione. A partire dal nascondere «segni identificativi», vedi la kippah, per proseguire col «non sostare al di fuori dei nostri luoghi ma al loro interno», col chiedere ai figli adolescenti «di cambiare luoghi di incontro se sono di routine» e addirittura con l’evitare di «far arrivare i corrieri fino al proprio appartamento se si ordina cibo d’asporto». Meglio scendere a ritirare la consegna. Ma occhio anche ai social per scongiurare il rischio che i bambini possano imbattersi in «immagini scioccanti senza cercarle». E ancora: avere sempre con sé un «cellulare carico», cercare di essere «sempre in compagnia quando si esce dai nostri luoghi, ma evitare gli assembramenti», tenere le porte d’ingresso «chiuse a chiave e aprire solo dopo aver controllato l’identità di chi volesse entrare», informare «con largo anticipo» la comunità nel caso in cui si voglia organizzare «un evento con larga partecipazione di pubblico (sopra le 15/20 persone)». In ogni caso, è l’appello dei vertici messo nero su bianco, «mantenere sempre alto il livello di attenzione, soprattutto intorno ai nostri luoghi» e per chi avesse dubbi, domande o perplessità sulle regole da seguire ci sarà sempre un membro «della protezione civile della comunità» pronto a dare risposte e chiarimenti. Visti i tempi, meglio non scherzare.
La gravità del contesto, a Milano come in altre parti d’Italia, va presa maledettamente sul serio. A Roma, una studentessa ebrea di nazionalità venezuelana che studia alla Sapienza, da una settimana a questa parte è oggetto di attacchi antisemiti tutt’altro che velati. «Nel nostro corso internazionale siamo quattro ebrei e c’è una ragazza libanese che ci discrimina per la nostra fede: ha fatto persino una presentazione a favore di Hezbollah e ha postato un video del leader di Hamas che invita ad ammazzare gli ebrei. Mi ha detto espressamente che i sionisti devono morire», racconta a Libero Mihal Mizrahi. Giusto per far capire che aria tira nella Capitale, dove i collettivi universitari di sinistra sono specializzati negli assalti alla polizia durante le sfilate al grido di «Palestina Libera». Non solo. «La direttrice del corso mi ha consigliato di parlarne con l’unica professoressa ebrea. Assurdo. Noi chiediamo semplicemente sicurezza e la Sapienza non può essere un luogo dove parlare di terrorismo: questa non è libertà d’espressione. “Non possiamo fare nulla”, mi ha detto la direttrice…». Capito? E così l’indifferenza, unita all’odio religioso, diventa una miscela esplosiva nelle mani dell’Islam radicale. Mentre la sinistra minimizza e abbandona Israele, gli ebrei sono braccati: devono nascondersi per evitare guai. In Italia, nel 2023.