Trump tiene duro e non lascia la campagna Usa 2024: “Sarà la battaglia finale”

Mancano appena 48 al nuovo episodio della saga giudiziaria dell’ex presidente degli Stati Uniti Trump che aggiunge benzina sul fuoco di una campagna elettorale che, al momento, giace nelle secche di silenzi e assenza di brio. Martedì, infatti, Trump sarà in tribunale a Miami dove lo attende la giudice Aileen Cannon: dovrà vedersela con 31 capi di di accusa per i documenti segreti non restituiti (e dunque per aver “violato la sicurezza nazionale” e le sue norme), oltre che per intralcio alla giustizia e falsa testimonianza. Una condotta grave che, secondo il procuratore Jake Smith, ha messo in pericolo gli Stati Uniti: ma nemmeno la più grave delle accuse frena il tycoon che conferma la sua intenzione di proseguire dritto per la Corsa alla Casa Bianca anche qualora venisse condannato. Lo ha confermato, infatti, a bordo di un aereo in volo dalla Georgia alla Carolina del Nord, ai microfoni di Politico.

Non solo, ma come ha abituato tutti in occasione di ogni suo grattacapo legale, l’ex presidente utilizzerà la vicenda come un megafono verso i suoi sostenitori: in vista di martedì aizza i suoi elettori nella crociata giustizialista della quale si è dichiarato più volte vittima, scatenando la sua ira contro l’Fbi, il Dipartimento di giustizia e la stessa amministrazione Biden che seguita a rimanere in silenzio: tra un delirio e l’altro, nelle sue parole, Joe Bidrn da senatore, avrebbe trafugato importanti file nascondendoli nella Chinatown di Washington.

Resta convinto, Trump, dell’esito più felice per la sua battaglia legale, aumentando la virulenza delle proprie dichiarazioni: “Non sarò mai arrestato. Non smetterò mai di combattere per voi“, ha tuonato in occasione delle convention repubblicane in Georgia e Carolina del Nord. “La sinistra marxista usa ancora lo stesso corrotto Dipartimento di Giustizia, la stessa corrotta Fbi…. barano, sono corrotti. Questi criminali non devono essere premiati. Devono essere sconfitti. Li dovete sconfiggere. Perché non attaccano me ma attaccano voi e io cerco di frappormi“. La narrazione della frode nei confronti dei cittadini resta la medesima: Trump ora punta tutto sulla rappresentanza-specchio. Quello che è accaduto a lui per “ragioni politiche” potrebbe accadere a qualsiasi americano, ed è per questa ragione che chiama a raccolta le (ultime) forze dei suoi supporter.

Il piano della battaglia personale ormai è completamente sovrapposto a quello della campagna elettorale, causando una progressiva malsopportazione del Gop nei suoi confronti. Anche i sondaggi restituiscono un panorama poco felice per Trump: se per il il 47% le accuse sono politicamente motivate, per il 69% degli americani Trump ha messo a rischio gli Usa. Un fenomeno in continua crescita che aveva portato l’elettorato conservatore non solo a prediligere “facce nuove” (esattamente come quello dem) ma a considerare l’ex presidente come una mina vagante nel progetto politico dei Repubblicani. L’arma che per Trump appare ancora vincente resta, infatti, quella del perseguitato politico: “L’accusa ridicola ed infondata mossa contro di me dal Dipartimento dell’Ingiustizia armato dall’amministrazione Biden passerà alla storia come uno dei più orribili abusi di potere mai commessi nel nostro paese“, tentando di sparigliare le carte fra i dem, annunciando che alcuni fra loro avallano questo ritratto dell’intera vicenda giudiziaria di Trump.

Quest’ultima fase, ovvero quella che da martedì porterà verso le elezioni è stata definita da The Donald come la “battaglia finale”. Un attacco diretto all’establishment e all’attuale inquilino della Casa Bianca. Nelle scorse ore da Columbus, in Georgia, ha infatti lanciato la sua ultima sfida andando a toccare i punti caldi della campagna elettorale: l’immigrazione, urlando “Questa è la battaglia finale, saranno le elezioni più importanti che abbiamo mai avuto”. “Con voi al mio fianco – ha aggiunto – demoliremo comunisti, fascisti, marxisti e “deep State“…Non lasceremo che entrino nel nostro Paese milioni di persone, che non dovrebbero stare qui. Non lasceremo che le città peggiorino ancora, dovremo rendere onore alla nostra polizia e fare di loro di nuovo eroi“; e poi ancora, l’economia americana, definita “fuori controllo” e annunciando come presto il dollaro non sarà più una valuta di riferimento nel mondo. Fra gli applausi scroscianti della platea è stato anche il momento per citare la politica estera, definendosi l’unico “in grado di evitare la Terza Guerra Mondial”.

Il singolare impianto costituzionale americano, per paradosso, non possiede strumenti per arginare la deriva che questa campagna elettorale sta assumendo per via dei guai giudiziari di un candidato di primo piano come Trump.

Quando venne redatto larticolo 2 del testo costituzionale furono elencati con dovizia di particolari compiti e poteri dell’Esecutivo, al fine di riempire di contenuto e significato il ritratto di questo “re democratico”, loro Comandante in capo. Sulle caratteristiche che quell’uomo doveva possedere, che causarono non poche baruffe e grattacapi, ci si limitò a definire sparuti dettagli come la nascita e la residenza (per evitare una futura svolta monarchica o lealista verso Londra) e un’età minima. Nulla di più. Della sua fedina penale o rispetto delle leggi nella vita precedente alla candidatura nulla venne scritto. Il che lasciò spazio a paradossi legali e a una sequela di divieti che restano solo morali. Eppure, la Costituzione americana è stata creata all’origine con la possibilità di essere emendata: quel documento, alla base del tempio democratico americano, ora appare sempre più inadatto di fronte ad un caso gigante come l’odissea politica di un candidato o di un incumbent. Il risultato? Nessun può impedire a Trump di proseguire la campagna elettorale, perfino dal carcere, qualora fosse arrestato.

Pubblicato da edizioni24

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