Terapie intensive al collasso, il primario del Fatebenefratelli: “Siamo al collasso, dobbiamo scegliere chi salvare”

«Un mese fa avevamo posti a iosa. Ora siamo pieni». È l’allarme lanciato dalle colonne del Messaggero da Simone Bianconi, pneumologo, direttore del centro Covid dell’ospedale San Pietro Fatebenefratelli di Roma. «I letti? Siamo saturi», dice il primario al quotidiano romano. Al punto che quando arrivano i pazienti bisogna decidere a chi lasciare il posto in terapia intensiva. È capitato, scrive il Messaggero, solo pochi giorni fa con una signora di 94 anni.

«Di fatto, si fanno delle scelte – spiega Bianconi – A quella età le possibilità che tu possa uscire da una gravissima insufficienza respiratoria sono bassissime. Noi la terapia intensiva la riserviamo alle persone che possono avere una chance di uscirne». «Un soggetto più giovane – afferma – può avere delle possibilità. Sia chiaro: non è che una persona molto anziana col Covid sia destinata al decesso, ma lo deve avere in una forma lieve, simile a un raffreddore. Se sviluppa una polmonite con un’insufficienza respiratoria grave – chiarisce il medico – le possibilità sono scarsissime. Per un paziente di 90 anni o più, è anche una questione di eticità: portarlo in terapia intensiva significa sedarlo e far sì che il respiratore sostituisca il suo apparato respiratorio. Poi tornare indietro è molto difficile».

Il professore si sofferma anche sulle varianti. Alcuni scienziati sostengono che il Covid delle ultime varianti sia molto più aggressivo. E che contagi molti più giovani. Bianconi racconta la sua esperienza al Messaggero. «La variante inglese oltre ad essere sicuramente più contagiosa sembra avere un tasso di aggressività maggiore. A ottobre il 50enne col Covid spesso se la cavava con una forma simile a un’influenza. Ora invece ha molte più possibilità di sviluppare una polmonite con un’insufficienza respiratoria grave. Stiamo ricoverando anche 20enni che hanno bisogno dell’ossigenoterapia. A ottobre non capitava».

E poi il punto dolente: la mancanza di personale. «Noi abbiamo dovuto sottrarre il personale della rianimazione alle attività ordinarie, chiudendo le sale operatorie, che ormai restano attive soltanto per le urgenze o per i tumori. Tutto il resto è stato chiuso. Non siamo riusciti a fare assunzioni».

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