Simonetta Cesaroni, una voce riapre il caso: esce l’audio di una telefonata la sera del delitto

Dopo più di 32 anni un’intercettazione perduta getta una nuova ombra sull’assassino di Simonetta Cesaroni. Lo scrive oggi il quotidiano Repubblica, riportando quanto appare nella relazione di 32 pagine sul delitto di via Poma, firmata e proposta dalla deputata Stefania Ascari, in Commissione Antimafia.

Più di una persona infatti, tra il pomeriggio e la sera del 7 agosto 1990, sapeva che la ventenne segretaria Simonetta Cesaroniera stata uccisa con 29 coltellate nell’ufficio degli Ostelli dove lavorava. Ore prima della scoperta ufficiale del cadavere. A cambiare la storia del celebre giallo romano ancora irrisolto è una conversazione rimasta inedita fino a oggi e risalente al 30 marzo 2008. Epoca dell’inchiesta che porterà al processo contro l’ex fidanzato di Simonetta, Raniero Busco. Per la Commissione “costituisce il definitivo suggello circa l’intervento, nell’appartamento teatro del delitto, di una o più persone, nei momenti o nelle ore successive alla consumazione del crimine”. A essere intercettati sono la moglie di Mario Macinati – factotum del controverso avvocato Francesco Caracciolo di Sarno, presidente regionale degli Ostelli e datore di lavoro della vittima – e suo figlio Giuseppe.

L’avvocato era nella sua tenuta fuori Roma, a Tarano, e per essere contattato aveva lasciato il numero di Macinati. Nell’intercettazione la moglie di Macinati dice di aver ricevuto il giorno del delitto « ben tre telefonate» da un uomo che diceva di chiamare «dagli ostelli». Chi fece le tre telefonate? Per la commissione probabilmente il portiere Pietro Vanacore. Lo stesso portiere di via Poma che si tolse la vita pochi giorni prima di andare a testimoniare al processo contro l’ex di Simonetta Cesaroni.

Ma c’è un altro dato. Il figlio del factotum di Caracciolo, Giuseppe Macinati, ha affermato di recente che quelle telefonate non arrivarono tra le 20 e le 23, ma nel tardo pomeriggio. Cambiando la data ritornano in ballo anche altre persone scartate nella prima indagine. Il materiale verrà girato alla Procura di Roma che ha aperto un fascicolo contro ignoti per omicidio volontario.

La Commissione parlamentare antimafia dopo un’attività di indagine che ha portato ad ascoltare in sede istruttoria il giornalista Igor Patruno, l’avvocato della famiglia Cesaroni, Federica Mondani, e la sorella della vittima, ha raccolto anche altri elementi. Bisogna infatti cercare il killer di Simonetta Cesaroni in un soggetto che ha il gruppo sanguigno di tipo A e che abitava o lavorava nel palazzo di via Carlo Poma 2, dove il 7 agosto 1990 la 20enne venne uccisa. Sono queste alcune delle conclusioni a cui è arrivata la relazione della Commissione, che ripercorre alcuni «punti oscuri» sul delitto irrisolto. «Resta ragionevole credere che l’omicida fu persona che aveva un notevole livello di confidenza con lo stabile, se non proprio con l’appartamento. Si deve essere trattato di persona che poteva contare su un rapporto di confidenza con la vittima – si legge in un passaggio della relazione – o che era in grado di approfittare della fiducia di Simonetta Cesaroni o quantomeno, in via subordinata, di non indurla in sospetto o in allarme, trovandosi a tu per tu, in situazione di isolamento». «D’altro canto, rimane estremamente probabile che l’omicida sia di gruppo sanguigno A, perché sarebbe altrimenti poco spiegabile che a tale gruppo sanguigno debbano essere ricondotte le macchie ematiche rinvenute su interno, esterno e maniglia della porta della stanza dove venne ritrovato il cadavere – osserva la Commissione Antimafia – Delle molte ipotesi fatte per spiegare questa risultanza degli esami sui reperti ematici, tutte comunque risultano conducenti nell’identificare il sangue nell’appartamento come quello dell’omicida».

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