[…] Seif el Islam, si candida a presidente. Ma la famiglia lo vuole morto. Chissà cosa avrebbe detto il “Colonnello” Gheddafi

Dieci anni dopo la caduta del regime di Gheddafi, suo figlio, Seif el Islam si candida alle elezioni presidenziali in Libia. «Se il voto fosse regolare potrebbe ottenere il 70 per cento dei consensi» prevede una delle nostre «antenne» sul terreno.

Il delfino designato, il più politico e intelligente fra i figli del colonnello ha firmato ieri la candidatura nella città meridionale di Sheeba. Una discesa in campo ricca di simbolismi. La «Spada dell’Islam», questo il significato del suo nome, si è presentato alle telecamere con un turbante e tunica araba color sabbia uguali a quelli che indossava il padre prima di venire linciato a Sirte. Barba color argento, 49 anni, ha pronunciato per l’occasione una frase significativa del Corano: «Allah, rivela la verità tra noi e la nostra gente, tu sei il più grande dei conquistatori». Un modo per ammiccare i devoti islamici sapendo bene che i suoi acerrimi nemici, i Fratelli musulmani, faranno di tutto per impedirgli di correre alle presidenziali del prossimo 24 dicembre, che vorrebbero rimandare con l’avallo della Turchia.

Seif ha scelto Sheeba per presentare la candidatura, roccaforte della rinascita gheddafiana. E lo ha fatto dieci anni dopo il suo drammatico arresto proprio nella stessa area, il 18 novembre 2011, mentre stavo fuggendo verso sud. Simbolica «rivincita», che manda un segnale forte anche alle cancellerie occidentali: questa mossa non poteva avvenire senza l’appoggio della Russia e forse, riservatamente, di qualche paese europeo. Per la Nato, che ha bombardato la Libia scalzando il colonnello, il ritorno al potere del figlio sarebbe non solo una beffa, ma la dimostrazione che l’Alleanza ha sbagliato tutto, come in Afganistan.

L’Alta commissione elettorale nazionale libica ha accettato la candidatura di Seif el Islam. E sono scattate subito le contromisure. Imad al Sayeh, della Procura militare libica, ha chiesto di interrompere la procedura. Una mossa dettata dai Fratelli musulmani, che sarebbero pronti a riprendere le armi per far fuori Gheddafi. La Corte penale internazionale ha dichiarato che il mandato di cattura sulla testa di Seif per crimini contro l’umanità, spiccato durante la rivolta del 2011, è ancora in piedi. L’accusa, fin da allora, era sembrata più «politica», che reale.

Il figlio di Gheddafi dopo l’arresto da parte dei ribelli di Zintan si è fatto amico dei carcerieri. E lo scorso luglio ha lanciato con un’intervista al New York Times l’ipotesi di candidarsi alle elezioni. Dovrà guardarsi le spalle anche dagli «amici», come il generale Khalifa Haftar, signore della Cirenaica, che dovrebbe candidarsi o mandare avanti il figlio Saddam. Si sospetta che ci fosse proprio il suo zampino dietro un fallito attentato a Seif el Islam. «I voti di Haftar andranno a Gheddafi. Ma non solo quelli dei nostalgici. La stragrande maggioranza dei libici vuole che il paese ritorni sicuro e prospero com’era ai tempi del Colonnello».

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