Scuola, con la campanella torna anche l’allarme pidocchi: i consigli dei pediatri su come proteggersi

Con l’approssimarsi della riapertura delle scuole torna anche quello che per molte famiglie è un vero e proprio incubo: l’allarme pidocchi. Anche perché quest’estate, come riferito dai pediatri, numerose segnalazioni sono giunte già prima del suono della campanella, a dimostrazione che questi ospiti indesiderati non vanno mai in vacanza. E così, visto che, come ricorda il pediatra e divulgatore scientifico Italo Frentani, “basta un solo bambino” per dare il via alla diffusione, scuole e genitori si attrezzano per affrontarli e, possibilmente, evitarli.

Con l’aumento dei casi estivi il rischio di maxi infestazioni “già nei primi giorni di scuola è da considerare”, ha spiegato il medico all’agenzia di stampa Adnkronos, chiarendo che statistiche italiane certe e aggiornate sull’incidenza della pediculosi “non sono disponibili”, ma secondo stime di esperti internazionali relative agli anni passati l’infestazione da pidocchi colpisce ogni anno circa il 10% dei bambini della scuola primaria.

Il pidocchio adulto ha le dimensioni di un seme di sesamo, ha 6 zampe e assume la tonalità del capello che infesta. La femmina depone uova gialle, lucide e ovali (lendini) che si fissano saldamente al fusto del capello vicino al cuoio capelluto. Entro una settimana le lendini si schiudono, il parassita matura e diventa adulto nei giorni successivi e può vivere fino a un mese sulla testa di una persona. Nel corso di un mese, come viene spiegato anche su Epicentro, il sito dell’Istituto superiore di sanità (Iss) dedicato all’epidemiologia, nel corso di un mese le varie specie possono deporre sull’ospite dalle 80 alle 300 uova.

Farnetani ha ricordato che “i casi di pediculosi sono presenti in tutte le regioni italiane e in tutti i ceti sociali. Va specificato bene che contrarli non è legato a basse condizioni socio economiche e non è neanche sinonimo di scarsa igiene”. I pidocchi insomma amano i capelli, puliti o meno che siano. Quindi è semplicemente la sfortuna di trovarsi nei loro paraggi. Il prurito è il segnale più comune della loro presenza. Ed è più facile trovarli dietro le orecchie e all’altezza della nuca.

C’è, ha chiarito il medico, “un problema di trattamenti idonei, che sono cruciali” e basta che “uno dei bimbi con pediculosi non faccia (o non faccia bene) il trattamento per farli tornare”, anche attraverso un contatto indiretto come può essere quello con sciarpe o cappelli infestati e magari in classe appesi su uno stesso gancio o nello stesso armadietto. Da lì al contagio in casa, dove l’uso promiscuo di spazzole o cuscini è frequente, poi il passo è breve. Il consiglio ai genitori, con l’inizio della scuola, è dunque di “controllare un giorno alla settimana fisso le teste dei propri bambini, magari il sabato o la domenica, giorni in cui si è più liberi e, in caso di avvistamenti si può tempestivamente intervenire”.

Oltre al trattamento, diversi esperti suggeriscono di passare un pettinino con i denti fitti in ogni ciocca per eliminare le lendini. “Inutile tagliare i capelli – ha aggiunto Farnetani – se non nei rari casi in cui si è determinata una grave infezione del cuoio capelluto”. Altri consigli di esperti: tutti gli indumenti lavabili in lavatrice e la biancheria da letto che la persona infestata ha toccato nei 2 giorni precedenti al ​​trattamento vanno lavati. E c’è chi suggerisce di sigillare i materiali che non possono essere lavati (ad esempio i peluche) in un sacchetto di plastica per 2 settimane. Anche le superfici vanno considerate e pettini e spazzole vanno puliti accuratamente.

Quanto alle scuole, invece, possono poco: l’unica possibilità è segnalare alle famiglie l’esistenza dei casi e caldeggiare il trattamento. “Nel caso in cui i provvedimenti richiesti non vengano attuati, dirigente scolastico e docenti non possono allontanare l’alunno dalla scuola e in questo caso è necessario l’intervento della Asl e del personale sanitario preposto”, spiega Crista Costarelli, preside del Liceo Newton di Roma e presidente dell’Associazione nazionale presidi Lazio, ricordando che “la scuola può solo raccomandare e invitare la famiglia ad intervenire, dopodiché spetta al personale sanitario dell’Asl di competenza intervenire”.

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