Sbuca il tariffario di Panzeri e compagni, ogni no valeva 50 mila euro…. E i si…?

La parola d’ordine adesso sembra: minimizzare. «Non ci sono prove», dice il portavoce di EEAS per spiegare perché l’Alto rappresentante per la politica estera Joseph Borrell (ovvero il ministro degli esteri della Ue) andrà tranquillamente in visita oggi e domani in Marocco. Cioè in uno dei paesi che hanno foraggiato per anni l’attività di lobby occulta di Fight Impunity, la ong dell’ex eurodeputato del Pd Antonio Panzeri, in carcere dall’8 dicembre. Mentre sui giornali di mezzo mondo si raccontano dei sacchi di soldi trovati a casa di Panzeri e degli altri arrestati, dei contatti con i servizi segreti del Marocco e di come Panzeri addomesticò e teleguidò l’incontro del 13 novembre scorso tra una commissione del Parlamento europeo e il ministro del lavoro marocchino, il portavoce di EEAS Peter Stano ricorda che «a questo punto ci sono accuse e non prove né conclusioni di indagini. Nessuno ha ancora affermato dal punto di vista giuridico che il Marocco sia un Paese colpevole e che dovrebbe essere evitato negli incontri internazionali». Non una riga, come si vede, a proposito del fatto che l’Alto rappresentante Borrell, esponente del Psoe spagnolo, provenga dallo stesso gruppo parlamentare, i Socialisti&Democratici, di cui era membro Panzeri fino al 2019 e di cui fanno parte la greca Eva Kaili, già in carcere, nonché i due nuovi incriminati dalla Procura di Bruxelles, l’italiano Andrea Cozzolino e il belga Marc Tarabella, tutti attivissimi pro-Marocco e pro-Qatar.
La cautela del portavoce Stano spiega bene l’imbarazzo in cui il Qatargate ha precipitato il Parlamento comunitario. L’allargamento a macchia d’olio dello scandalo non fa che rendere più evidenti l’inefficienza dei sistemi di controllo interno: a partire dalla libertà di movimento che veniva garantita a Panzeri nei corridoi e nelle iniziative del Parlamento nonostante non coprisse più alcuna carica e la sua ong non risultasse nel Registro della trasparenza. Basti pensare che il 20 luglio 2020 il gruppo degli S&D per presentare il libro dedicato al ricercatore italiano Giulio Regeni, assassinato in Egitto, si affida proprio a Panzeri, che è il relatore principale. A presiedere l’incontro la belga Marie Arena, il cui nome ora ricorre insistentemente nelle cronache sul Qatargate: la sua assistente personale è stata perquisita dagli inquirenti, avendo lavorato a lungo con la ong di Panzeri; durante l’incontro del 13 novembre con i marocchini, la Arena fa un intervento per il quale subito dopo Panzeri la ringrazia. Secondo un articolo del quotidiano fiammingo De Standaard, documenti trapelati nella versione marocchina del caso Wikileaks dimostrano che già nel 2014, quando era ancora deputato, Panzeri era considerato da Rabat «un alleato per combattere il crescente attivismo dei nostri nemici in Europa». Per ogni emendamento anti-Marocco bloccato, secondo De Standaard la cricca di Panzeri riceveva 50mila euro. E gli emendamenti bloccati sono stati 147.

Le cifre, dunque, iniziano a salire. E rendono meno inverosimile la cifra impressionante cui starebbe dando la caccia la giustizia greca: i venti milioni di euro riconducibili a Eva Kaili, la vicepresidente socialista dell’Europarlamento. La richiesta di assistenza a Panama, dove il bottino sarebbe posteggiato, è ancora in attesa di risposta. Sullo sfondo, una domanda irrisolta: quanti sono i regimi impresentabili che hanno ottenuto a pagamento la benevolenza dell’Europa?

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