“Origini razziste”. La cancel culture se la prende pure con Indiana Jones

Di temibili nemici ne ha sconfitti tanti. Di mirabolanti avventure ne ha vissute parecchie. Tra templi maledetti e rischiose imboscate, Indiana Jones ce l’ha sempre fatta. Per decenni ha portato a casa la pellaccia, facendo appassionare intere generazioni di spettatori. Stavolta però il coraggioso archeologo nato dalla fantasia di George Lucas e Steven Spielberg si è cacciato in un bel guaio: è finito tra le grinfie dei paladini della cancel culture. Quelli che vorrebbero riscrivere la storia, la letteratura e la filmografia in nome delle loro ossessioni politicamente corrette. L’avventuriero interpretato sul grande schermo da Harrison Ford potrebbe insomma rimanere incastrato nella folle tagliola dell’ideologia woke. Aiuto.

Mentre al cinema sta per arrivare l’ulimo capitolo della suddetta saga d’azione, sul Washington Post è apparso un articolo dal titolo emblematico: “Le origini letterarie razziste di Indiana Jones“. No, non è uno scherzo. Secondo l’autore, il docente statunitense Gerry Canavan, il personaggio d’avventura sarebbe stato influenzato da precedenti filoni e prototipi letterari intrisi di razzismo. E dunque sarebbe egli stesso espressione di quei tòpoi discriminatori. Nella propria disamina, il professore ha messo così sotto accusa il “grande eroe bianco” e l’intera tradizione dei libri di avventura del XX secolo. Le miniere di re SalomoneViaggio al Centro della Terra e persino Tarzan: secondo l’autore e insegnante alla Marquette University (nessuna ironia sul nome dell’ateneo, prego…), si tratterebbe di opere in cui “risulta molto difficile ignorare il razzismo di cui è intrisa la storia“.

Per Canvan, anche il fumetto di Flash Gordon sarebbe stato un antesignano (in negativo, s’intende) di Indiana Jones. E pure Zorro, che di questo passo accuseranno di essere pure un po’ fascista: quel mantello tutto nero rischia infatti di allarmare chi vede rigurgiti del Ventennio in ogni dove. Con un retroterra così compromettente – a detta del professore – l’archeologo più famoso del grande schermo non poteva che ereditare tratti altrettanto inopportuni. “Pensate, ad esempio, a come i film di Indiana Jones usano la minaccia nazista per distrarre dal fatto che il nostro eroe si appropria quasi sempre dei tesori dei popoli indigeni o pre-coloniali“, ha argomentato ad esempio Gerry Canavan, trasformando il temerario archeologo in una sorta di colonialista. “È come se si sentissero obbligati a ricordarci che c’è sempre un uomo bianco peggiore, come una sorta di alibi. Ha perfettamente senso, da questo punto di vista, che i film di minor successo di Indiana Jones siano quelli che, come ‘Temple of Doom’, lasciano fuori i nazisti“, ha osservato ancora il docente.

E non è finita. Tra i filoni ricorrenti nella narrativa di Indiana Jones, ha continuato Canavan sul Washington Post, ci sarebbe anche quello della “conversione religiosa“. Di che si tratta, è presto spiegato: “Uno scettico ossessionato da se stesso e solitario, un uomo di scienza che ha lasciato che la sua carriera escludesse tutti gli altri aspetti della sua vita (…) ottiene un dono momentaneo di grazia, uno scorcio del divino, che cambia la sua vita per sempre“. Tutto questo, ovviamente, avrebbe dei risvolti negativi. Con buona pace della divina Provvidenza di manzoniana memoria. Il fatto sconcertante è che a sollevare tali osservazioni sia proprio un professore di letteratura americana. Uno che dovrebbe apprezzare la cultura e non metterla in discussione, decontestualizzandola attraverso le (discutibili) chiavi di lettura attuali.

L’effetto straniante è quello di sempre. Lo stesso provocato dalle crociate che da tempo la cancel culture muove contro i mulini a vento di certe presunte discriminazioni. I paladini del movimento woke non mollano: spulciano libri, opere d’arte, film, cartoni animati e capolavori della cultura alla caccia di elementi da recriminare. O, peggio, da cancellare. E ora vogliono ingabbiare pure il vecchio Indiana Jones.

Pubblicato da edizioni24

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