Mistero sugli sconti benzina: tra le righe della norma più di un trucco. E i conti non tornano…

Finisce per animare un giallo il decreto approvato dal governo lo scorso venerdì per provare a fermare la corsa dei prezzi dell’energia e tagliare, per un mese o poco più, i prezzi alla pompa di benzina. Un provvedimento che in queste ore il ministro dell’Agricoltura, Stefano Patuanelli ha difeso, rassicurando gli utenti sul fatto che «chi oggi andrà a fare rifornimento troverà i carburanti, fino a fine aprile, a 25 centesimi in meno al litro». Definendolo «uno step iniziale per calmierare parzialmente il costo della benzina e per ristorare le aziende». E annunciando, «successivamente, alcune misure più strutturali calmiereranno definitivamente il prezzo delle materie prime energetiche».

In molti, però, tra addetti ai lavori e consumatori, non la pensano così. Convinto che, calcoli e previsioni alla mano, che il taglio del carburante (sul cui aumento spropositato dei prezzi la procura di Roma ha aperto un’inchiesta) e dei costi dell’energia applicati dal governosono condizioni necessarie, ma non sufficienti, per evitare la paralisi. Del resto, i commenti sul provvedimento che sposta 4,4 miliardi per le imprese e le famiglie, che ha rilasciato il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, a ridosso del via libera di Palazzo Chigi è : «Deludente».

Come pure i rilievi che hanno mosso i presidenti di Confindustria Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte, danno da pensare. Soprattutto, inquieta operatori e consumatori una «profonda insoddisfazione e preoccupazione» verbalizzata che ufficializza, «pur nella consapevolezza che l’intero sistema industriale italiano è a rischio paralisi tra aumenti delle materie prime», quella «difficoltà di approvvigionamento delle forniture e costo»  su cui nel decreto «manca la determinazione di cui c’è assoluto bisogno in periodi eccezionali come quelli che stiamo vivendo».

Non solo. In sottofondo rimane la tassa sugli extra-profitti delle grandi imprese dell’energia. Quelli che il premier Draghi ha annunciato venerdì sera in conferenza stampa. Quando, illustrando il provvedimento che taglia le accise sui carburanti. E dispone nuovi aiuti per imprese e famiglie. Trovando buona parte della copertura finanziaria in un prelievo straordinario su tutte le imprese attive nella filiera di produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e prodotti petroliferi, ha commentato: «Tassiamo una parte degli straordinari profitti che i produttori stanno facendo grazie all’aumento dei costi delle materie primeQuindi distribuiamo questo denaro a imprese e famiglie in difficoltà»

Un contributo che dovrebbe produrre un gettito di circa 4 miliardi, che dovrebbe costituire le fondamenta su cui si regge quasi tutta la struttura preventivata per degli aiuti. Ma i conti non tornano. Già, perché la copertura individuata dal governo farebbe letteralmente “acqua” da tutte le parti. Un dubbio sulla fattibilità procedurale del provvedimento, per cui, tra gli altri, La Verità oggi parla di «copertura traballante». E di «rilievi che potrebbero giungere dal Colle sulla costituzionalità di tale prelievo». Cerchiamo di capire come e perché.

Innanzitutto, va rilevato che il prelievo va esercitato su un semestre tuttora in corso. Cosa che, rileva il quotidiano diretto da Belpietro, «lascia il fianco scoperto a operazioni elusive. Poiché i calcoli del fantomatico extraprofitto si eseguono operando su due semestri(ottobre 2020-marzo 2021 in confronto ad ottobre 2021-marzo 2022) è tuttora possibile per gli operatori del settore aumentare gli acquisti di idrocarburi e gas, destinandoli allo stoccaggio e non alla vendita, per comprimere il margine» e quindi ridurre «il prelievo».

Ossia, per una società degna di nota, è possibile acquistare prodotti a fine mese, per poi rivenderli il 1° aprile. Ossia, come spiega esaustivamente La Verità. E «come si evince dalla tabella, si preleva il 10% da un eventuale incremento del saldo delle operazioni Iva registrato nei due semestri di osservazione, purché sia almeno pari a 5 milioni e superiore al 10%. Non è quindi vero che questo prelievo, come sostenuto da Draghi, colpisce i «profitti». Agisce invece su uno strano ircocervo che non trova corrispondenza in nessun manuale di contabilità e bilancio.

Cioè la differenza tra operazioni attive e operazioni passive ai fini Iva. In tal modo restano fuori ammortamenti. Svalutazioni. Costo del lavoro. Oneri e proventi finanziari e, come detto, eventuali variazioni nelle rimanenze di prodotti». Una modalità, insomma, che lasciando aperta la porta e le possibilità di movimento, fino al 31 marzo rappresenta una ghiotta possibilità per gli operatori interessati di ridimensionare l’impatto della misura di governo.

In seconda battuta, scrive La Verità: «La norma appare scritta appositamente per ricevere la bocciatura della Consulta». Che, sempre partendo dai dubbi sulla scelta del semestre, individuato a cavallo tra 2020 e 2021 come base per il calcolo dell’incremento, da un lato agirebbe su prezzi già depressi e condizionati dalla pandemia. Dall’altro, punta su un rialzo dei prezzi che, scrive il quotidiano citato, «sui mercati internazionali è una variabile esterna di cui è difficile isolare gli effetti sui conti aziendali». Tutti limiti e buchi che potrebbero far finire il provvedimento al vaglio – e sotto la mannaia– della Corte…

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