[L’intervista] Ddl Zan, la lezione di Gaetano Daniele ai finti buonisti dal tornaconto elettorale

Gaetano Daniele

A cura di Giuseppe Tricarico

Fa discutere il ddl Zan proposto a tutta forza da PD, M5s e Leu. Ma lo stesso testo spacca in due il Parlamento con Matteo Renzi che cerca di fare da ago della bilancia. Sul delicato tema intervistamo Gaetano Daniele, uomo con alle spalle una lunga esperienza non solo militare ma anche politica. Uno dei giovani più votati, segretario politico e fondatore di due periodici per la distribuzione gratuita: il Fatto e Il Notiziario. Organizzatore di molteplici eventi sociali: dalla diversità agli anziani fino alla microcriminalità, dove ha visto la presenza di numerosi relatori competenti. Un uomo insomma che non parla a vanvera ma soprattutto non le manda a dire.

Cosa condivide e cosa non condivide di questa legge che divide in due il Parlamento?

Ho letto il testo. Sembrava di leggere un ricorso giudiziale scritto da un avvocato “Ciuccio” sotto dettatura di un altro asino. Per essere cattivi. Volendo essere buoni, avrei potuto dire: come la lettera scritta da Peppino sotto dettatura di Totò. Ma scherzi a parte nessuno mette in discussione la necessità di combattere i fenomeni di dileggio discriminazione violenza verso le persone che hanno orientamento sessuale diverso, completando la famosa legge Mancino sui crimini d’odio che aveva lasciato da parte il sesso. Il fine ultimo è sacrosanto ma il metodo è sbagliato. Non si capisce un cazzo.

Cosa non va?

Io da cittadino devo sapere se l’atto che vado a compiere è reato oppure no. I reati devono essere definiti e invece il livello di discrezionalità dei giudici rimane molto alto. Va bene che un giudice possa o meno interpretare, ma i reati penali devono seguire una logica: prova certa o flagranza di reato. In assenza, giudichiamo a capocchia.

In molti ne fanno una questione di libertà.

Quando si parla di identità di genere non si può far dipendere il genere da una questione individualistica legata al singolo perché chi vive in società sa che ci sono regole che vanno rispettate. Non posso dire: faccio quel che voglio in questa come in altre questioni perché distruggo la coesione sociale. C’è una grande differenza tra libertà e libertarismo. Le scelte individuali vanno sempre rispettate e protette. Come la nostra cultura, i nostri comandamenti e la famiglia. Proprio come le diversità. Ma non mischiare tutto nel calderone.

Quindi è a rischio la libertà di espressione?

Non faccoamo confusione. O la legge determina dove finisce la libertà di espressione e dove inizia il reato o è evidente che succederanno cose simili a ciò che è già accaduto in Spagna, in Canada e nei Paesi dove esistono leggi simili. L’arcivescovo di Valencia, per un’omelia in cui difendeva il matrimonio tra uomo e donna, è stato accusato di omofobia. Se anche poi a processo vieni assolto, resta grave, perché intanto devi prendere un avvocato, incorrere in spese ingenti. Se un rettore di seminario invita un seminarista omosessuale a lasciare il seminario, il seminarista potrebbe denunciarlo. Iniziamo a difendere un principio: la famiglia è sacra e non si tocca. Al di fuori ognuno è libero delle sue scelte e va difeso e tutelato.

E nelle scuole come la mettiamo?

Nelle scuole non può essere lo Stato che decide sull’educazione dei figli minorenni perché per Costituzione tocca alla famiglia. Lo Stato ha la responsabilità dell’istruzione, non dell’educazione. Dalla confusione tra questi due livelli nascono molti equivoci.

Con quale occhio vede i promotori della legge?

Divento strabico. Comunque vadano le cose e si concluda la vicenda in Parlamento, non finirà bene.

E sul dibattito giustizia?

Lo vede anche mio figlio di 11 anni che non funziona. Io sfido a trovare un italiano che non sia d’accordo. Ma anche queste tematiche sono merci di contrattazione in cui si perdono di vista principi e valori.

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