L’estrema sinistra di Soumahoro & C, tutta facciata e nulla più. sta con i terroristi scappati in Francia

«Espatriati». Li chiama proprio così, il senatore Marco Grimaldi. Non latitanti, non fuggiaschi, non assassini. Nell’aula della Camera ieri si torna a parlare dei dieci terroristi rossi che la Francia dopo averli promessi all’Italia ha deciso invece di continuare a ospitare e a proteggere. Dieci protagonisti degli anni di piombo, tutti responsabili di fatti di sangue come gli omicidi del commissario Calabresi, dell’orefice Torregiani, del salumiere Sabadin, tutti da decenni al sicuro a Parigi. Ieri Montecitorio è chiamata a votare la mozione della maggioranza che impegna il governo a sostenere il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ultimo strumento per costringere la Francia a mantenere i suoi impegni e a riconsegnare i condannati all’Italia. Sembra un impegno in grado di riunire maggioranza e opposizione, e infatti anche Pd e 5 Stelle votano a favore. Poi però si alza Grimaldi, numero due di Avs, il gruppetto nato dall’Unione tra i Verdi di Angelo Bonelli e la sinistra di Nicola Fratoianni, e annuncia che lui e i suoi compagni non voteranno la mozione. Per loro, gli assassini possono restare tranquilli in Francia.

I sei presenti in aula di Avs si astengono compatti, compresi i leader Bonelli e Fratoianni. Insieme a loro si astiene l’ex compagno Aboubakar Soumahoro, il sindacalista con gli stivali espulso da Avs e riparato nel gruppo misto, che nell’appoggio ai fuggiaschi ritrova la sintonia con gli amici di un tempo.

Nel suo intervento Grimaldi (43 anni, torinese, cresciuto a pane e politica nelle giovanili del Pd) fa il suo omaggio di prammatica alle vittime e ai loro familiari, «cui va tutta la nostra solidarietà». Ma a commuoverlo più del dolore dei parenti, indignati per la decisione della Francia, sembra la sorte dei dieci latitanti. «Stiamo parlando di dieci persone anziane, molto anziane, e aliene da decenni da qualunque attività illegale», dice Grimaldi. La decisione di non consegnarli all’Italia, dice, è della magistratura francese, che va rispettata. Ma quella decisione il senatore della Sinistra la condivide al 100 per cento: metterli in carcere sarebbe un atto di «giustizia puramente vendicativa». «Cosa ci sarebbe di rieducativo e riparativo dopo tutto questo tempo?», chiede Grimaldi. Va tutelata, dice, la loro «vita familiare».

Sono, come si vede, gli argomenti usati in questi anni dai latitanti e dai loro supporter in Francia e in Italia. E preso dalle loro tesi è anche l’argomento chiave che il senatore usa per contestare le sentenze definitive che hanno condannato i dieci: «molti processi si sono fondati sulle dichiarazioni di pentiti e si sono celebrati in contumacia, poiché già espatriati». Espatriati, modo a elegante per dire che erano fuggiti per sottrarsi alla cattura e alle condanne : frutto delle confessioni di quei pentiti che fino al giorno prima erano i loro compagni di ammazzamenti. E poi il clou: rifiutando l’estradizione in Italia degli ex terroristi rossi la giustizia francese «ha affermato il rispetto delle regole, della parola data e di un principio di umanità». Nell’aula della Camera cala il gelo. Al microfono va Simonetta Matone, leghista: «Mi sono dovuta calmare, ho dovuto reprimere un moto di rabbia dopo quello che ho sentito pochi minuti fa». Subito dopo di lei Debora Serracchiani del Pd annuncia il voto a favore, «il diritto alla vita familiare – ribatte a Grimaldi – lo avevano anche i familiari delle vittime, e gli è stato tolto da atti violenti». Nei loro scranni, i sei di Avs e Soumahoro ascoltano imperturbabili. Quando il presidente di turno Giorgio Mulè dà il via alla votazione, sul tabellone la loro luce non si accende. Chissà se si è accesa nelle loro teste.

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