Inchiesta Anas-Verdini, il lupo perde il pelo ma non il vizio: escono intercettazioni non contenute nelle ordinanza

By Paola Ferrari (LQ)

«Da giorni i quotidiani pubblicano atti ed intercettazioni completamente irrilevanti ai fini delle contestazioni penali», afferma l’avvocato romano Alessandro De Federicis, difensore di Fabio Pileri, socio in affari di Tommaso Verdini ed indagato nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti Anas, smentendo coloro che paventano il rischio “bavaglio” sui processi. «Ma quale bavaglio: i giornali pubblicano addirittura atti che non sono contenuti nei provvedimenti giudiziari», aggiunge De Federicis, stroncando quindi la campagna del Fatto Quotidiano che ha deciso di condividere sul proprio sito l’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di Pileri e Verdini, e che una recente norma voluta dal deputato e responsabile giustizia di Azione Enrico Costa ha previsto sia pubblicabile da ora in avanti solo in forma “riassuntiva”. «Senza girarci tanto intorno, ciò a cui stiamo assistendo è la classica violazione del segreto d’ufficio», sottolinea De Federicis che la prossima settimana sottoporrà il caso ai magistrati della Capitale. 

Che qualcosa in questa vicenda non tornava era stato evidenziato dallo stesso presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia il quale, intervistato la scorsa settimana dal Dubbio, dopo aver premesso di non voler «partecipare alla caccia al colpevole», aveva affermato sibillino che i suoi colleghi potrebbero essersi già attivati per individuare i responsabili di queste fughe di notizie che hanno il solo scopo di condizionare negativamente l’opinione pubblica (e quindi il giudice che dovrà decidere sul caso).

FUGHE DI NOTIZIE Il problema, purtroppo, è che queste fughe di notizie nella totalità dei casi rimangono sempre impunite, ad iniziare da quella, senza precedenti in termini di importanza, che ha riguardato il sistema delle nomine al Consiglio superiore della magistratura. Il 29 maggio del 2019, RepubblicaCorriere Messaggero, i giornali oggi in prima linea contro il “bavaglio” asseritamente voluto dal governo di destra, diedero grandissimo spazio all’indagine della Procura di Perugia nei confronti di Luca Palamara, ex presidente dell’Anm e grande manovratore di incarichi e nomine. “Corruzione al Csm: il mercato delle toghe”, il titolo di Repubblica. “Una inchiesta per corruzione agita la corsa per la Procura di Roma”, quello del Corriere. “L’accusa al pm Palamara complica i giochi per la Procura di Roma”, quello infine del Messaggero. Tutti gli articoli erano molto dettagliati e quello di Repubblica aveva anche le intercettazioni effettuate in tempo quasi reale con il trojan inserito nel cellulare di Palamara.

Nonostante le indagini all’epoca fossero ancora in corso, e quindi tutti gli atti coperti dal doveroso segreto istruttorio previsto già dal codice del 1930 e poi sempre confermato, i quotidiani pubblicarono per giorni ampi stralci di quelle intercettazioni, molte delle quali riguardavano la sfera privata di magistrati che si erano incontrati con Palamara e che non erano minimamente coinvolti nell’indagine. Un po’ come sta accadendo nell’inchiesta Anas. Quella fuga di notizie provocò un terremoto, stroncando le carriere di tanti giudici. «È un regolamento di conti fra magistrati», disse profetico il meloniano Andrea Delmastro e il presidente della Repubblica fu costretto a prendere apertamente posizione su ciò che stava accadendo. Qualche settimana più tardi, alla fine di luglio, il pm di Perugia Mario Formisano, titolare del fascicolo, a chi gli chiedeva spiegazioni su queste interminabili fughe di notizie rispose che avevano «rovinato l’inchiesta». La Procura di Firenze, competente sulle condotte dei magistrati umbri, decise poco dopo di archiviare l’inchiesta, pur a fronte della “reprimenda” del giudice. «Sussiste senza dubbio» il reato di rivelazione del segreto, gli autori sono stati dei «pubblici ufficiali» e la Procura deve compiere gli «opportuni approfondimenti investigativi» per individuare «i responsabili della indebita propalazione», scrisse al pm la gip Sara Farini. E qualcuno ha il coraggio di chiamarlo “bavaglio”. 

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