Il piano di Tel Aviv per gli sfollati: tendopoli per un milione di palestinesi

By Gaia Cesare

Infradito Adidas ai piedi. Un sacchetto in mano e dietro di lui la moglie e «due o tre» figli. Yahya Sinwar, capo di Hamas nella Striscia di Gaza, è in fuga. Lo si vede in un video trovato dall’esercito israeliano a Khan Yunis, durante un’operazione militare nel sud della Striscia su cui punta l’offensiva israeliana. Il filmato, che mostra il terrorista di spalle, è stato prima annunciato, poi mostrato in conferenza stampa dal portavoce dell’Idf e infine diffuso. Il leader sta bene, non è ferito, anzi è tutto intero, si legge nel rapporto stilato dall’esercito. Nel video, girato dalle telecamere della sorveglianza interna di Hamas, si vede Sinwar con la famiglia, sotto la guida del fratello Ibrahim, passare da una galleria all’altra nelle viscere di Khan Yunis. Del capo della Striscia anche i vertici del gruppo hanno perso i contatti a fine gennaio, ma la scena secondo l’Idf risale al 10 ottobre. È un ulteriore indizio che il leader di Hamas è stato qui e che, con l’offensiva a Khan Yunis ancora in corso, è probabilmente fuggito a Rafah, dove il gruppo domina ancora e può coprirlo.

Per questo, mentre al Cairo si lavora a una tregua di sei settimane, a Gaza si prepara l’offensiva su Rafah, nonostante gli appelli internazionali – ieri anche quello della Cina – a evitare «un disastro umanitario» e la notizia che gli Stati Uniti starebbero indagando su eventuali crimini di guerra commessi da Israele, «nonostante le smentite pubbliche», scrive l’Huffington Post. Ma prima della tregua va organizzata l’evacuazione dei civili. Israele smentisce, ma secondo il Wall Street Journal avrebbe già presentato all’Egitto il piano per far uscire dalla città 1,4 milioni di palestinesi accampati nelle tendopoli e che vanno ora allontanati da Rafah. Eppure non può esserci una massiccia operazione militare nella città del sud senza «un piano credibile» per proteggere i civili, ha ricordato ieri Joe Biden al termine dei colloqui alla Casa Bianca con il re di Giordania, Abdullah II. Per questo – è l’indiscrezione del Wsj – Israele avrebbe previsto 15 siti, da 25mila tende ciascuno, per riallocare gli sfollati in tutta Gaza, dalla punta sud di Gaza City fino a Moassi, a nord di Rafah. I campi dovrebbero essere finanziati da Stati Uniti e partner arabi.

Avanti tutta, dunque, a Rafah, stivali sul terreno. A meno che – e a questo si lavora – non si arrivi a una tregua per la liberazione degli ostaggi. Mentre i piani militari di Netanyahu si estendono, si lavora contemporaneamente, e senza sosta, anche per il rilascio dei cento rapiti ancora a Gaza e la restituzione dei corpi dei circa trenta morti in prigionia, che porterebbero a una sospensione nei combattimenti. Al Cairo si sono chiusi in serata i colloqui tra il capo della Cia Burns, i capi di Mossad e Shin Bet, il leader dell’intelligence egiziana Kamel e il primo ministro del Qatar, Al Thani. Fino a ieri sera Hamas, che non parla direttamente con Israele e al Cairo vuole inviare il vice di Sinwar, Al-Hayya, ha fatto sapere di non aver ancora mandato una delegazione, in attesa degli sviluppi. «Gli elementi chiave dell’accordo sono sul tavolo», ha detto Joe Biden, parlando di una possibile tregua di almeno sei settimane che accompagni il rilascio degli ostaggi, e che potrebbe poi «essere trasformata in qualcosa di più duraturo». Nell’intesa ci sono delle lacune, ha ammesso il presidente, senza precisare quali, ma si continua a lavorare, anche se la trattativa «è difficile», ammette la Casa Bianca. «Il quadro diventerà più chiaro entro le prossime 24 ore», cioè entro oggi, è la previsione alla Cnn di una fonte di Hamas, che riconosce una «determinazione chiara e forte a raggiungere accordi di cessate il fuoco». Che Israele non vuole permanente.

Un’altra mediazione, intanto, si svolge sul confine caldo del Libano, dove continua il lancio di razzi di Hezbollah su Israele (feriti gravemente ieri una madre e un figlio a Kiryat Shmona). Il Libano – secondo una fonte del governo di Beirut – ha ricevuto una proposta dalla Francia che punta a fermare gli scontri e a contenere le tensioni al confine. Il piano, definito da Usa, Francia, Egitto e Qatar, chiede a Hezbollah il ritiro dei suoi combattenti a circa 10 chilometri dal confine con Israele e all’Esercito libanese e ai peacekeeper dell’Onu di monitorare l’area.

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