[.] Gli assistenti stranieri costano troppo, per questo vengono traditi. L’Italia gira le spalle e ne caccia circa 60

Una situazione di emergenza che coinvolge italiani sequestrati, un aereo o una nave militare che devono arrivare in fretta, i contatti con le autorità militari locali in zone di guerra «fredda» o «calda» per non parlare delle traduzioni degli incontri riservati fra i nostri generali, ammiragli o il ministro della Difesa con le controparti in Paesi non solo a rischio.

Tutti compiti delicati svolti soprattutto dai collaboratori locali degli addetti militari nelle ambasciate. Una sessantina di persone chiave in 43 addettanze, ancora più fondamentali in paesi «caldi» o dove abbiamo missioni militari come Libano, Egitto, Libia, Cina, Russia, Ucraina. Tutti fedeli collaboratori che da domani verranno licenziati.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha «scoperto», grazie all’ispezione in un’ambasciata, che i contratti rinnovati annualmente ai collaboratori locali non vanno bene. E così i preziosi collaboratori locali vengono mandati a casa provocando un danno allo stesso funzionamento dell’ufficio degli addetti militari.

«Ci sentiamo traditi, abbandonati dall’Italia, che è pure il nostro paese perché alcuni hanno la doppia cittadinanza. Non ho neanche il coraggio di dirlo a mia moglie dopo avere sacrificato per anni la famiglia per questo lavoro» si sfoga uno dei collaboratori locali, che da domani è in strada. E a rischio di rappresaglie, ritorsioni o energiche pressioni per ottenere informazioni riservate. Una storia sotto certi aspetti già vista nel dicembre dello scorso anno quando gli interpreti che lavoravano per il nostro contingente in Afghanistan, alla fine restituito al regime dei talebani, vennero licenziati. Poi siamo corsi ai ripari, ma è andata a finire nella totale emergenza.

«Non siamo solo interpreti, ma ci occupiamo di tutte le questioni delicate di carattere militare» spiega un collaboratore. Non a caso devono ricevere un nulla osta dall’Aise, i servizi segreti per venire assunti «a tempo determinato» come recita il contratto che viene rinnovato a seconda delle necessità talvolta da 6, 10 o 20 anni. Un addetto militare in un paese dove la tensione è alta conferma al Giornale «che pur essendo civili sono una specie di ufficiali di collegamento. Se i militari del posto devono parlarci chiamano loro».

I 54 addetti militari in giro per il mondo dipendono dallo Stato maggiore della Difesa che conferma «i rilievi amministrativi dagli organi di controllo dello Stato». Il bubbone era già scoppiato ad ottobre, quando è arrivato lo stop al rinnovo annuale. Secondo lo Stato maggiore per tre collaboratori «in teatro operativo/aree a rischio è in via di rinnovo il contratto di lavoro». In realtà, però, sono ben di più calcolando paesi come la Cina o la Russia, dove il clima è da guerra fredda, l’Egitto con le tensioni sul caso Giulio Regeni e Patrick Zaki, la Libia con l’emergenza migranti, ma pure paesi africani come l’Angola o medio orientali come l’Iraq e l’Iran.

«Anche nei cosiddetti Paesi tranquilli ed alleati tutte le note verbali si scrivono nella lingua del posto dalla Serbia agli alleati polacchi o ungheresi oppure a Stoccolma dove non possiamo usare il traduttore di google» sottolinea un addetto militare. La Difesa «esclude di assumere personale contrattista civile presso le sedi estere con le modalità finora adottate». E valuta «la possibilità di affidarsi a società di servizi terze che possano assicurare le prestazioni ed i requisiti di sicurezza richiesti». Gli addetti ai lavori fanno notare che è un azzardo, anche in paesi europei ed alleati, affidarsi a società esterne, che possono venire infiltrate o fare il doppio gioco.

Un ex addetto militare in un Paese a rischio fa presente che «non si tratta di un semplice interprete. Era di fatto il mio braccio destro. Se dovevo seguire il classico canale diplomatico ci mettevo tre mesi. Il collaboratore locale prendeva la richiesta e andava a contattare le persone giuste per metterci sopra il timbro necessario in tempi minimi». Un ruolo insomma a tutto tondo. In Paesi dove la guerra è «calda» come in Ucraina, in Libia oppure la tensione è latente in Libano o Iraq sapere trattare e avere il numero di cellulare non solo della controparte ufficiale, ma del miliziano di turno è fondamentale.

Nel 2022 il budget per 54 addettanze militari è di 48 milioni e mezzo di euro. I contratti annuali finiti nel mirino di «una burocrazia becera», secondo un addetto militare, si aggirano sui 35mila euro lordi o anche meno. «Durante le visite ufficiali del ministro o del Capo di stato maggiore della Difesa – spiega l’ex addetto militare – Pure i dettagli sono importanti, come il tappeto rosso sì o no. Oltre alla traduzione durante gli incontri riservati. Il nostro collaboratore locale non è un solo un interprete, ma un mediatore culturale e un prezioso consigliere»

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