Daniele: “Le manipolazioni pure sulla pasta e fagioli. Psicologhe e piccoli odiatori si alimentano”

By Gaetano Daniele

Avete mai provato ad andare in analisi? Mi viene da ridere. Io non ci sono mai andato, ma una volta mi capitò di accompagnare un amico, di Caserta. Non faccio il nome per privacy. Ci mancherebbe altro. Entrammo. Il medico, come giusto che sia, mi invitò ad aspettare nella sala d’attesa. Ma l’amico chiese se potessi assistere alla seduta. “Non lo faccio mai, ma trattasi di Daniele, chiudo un occhio”. Premetto che io a quel dottore non l’avevo mai visto prima. Entriamo. Luci offuscate, atmosfera quasi da night club. A me mi sbarcò su di una sedia sotto la finestra. Tapparelle abbassate. Sembravamo dei fuggitivi. Il paziente sul divano, ed il medico su di una sedia proprio seduto di fronte a lui. Due dita non sparano, neppure se abbassi il pollice, come a mimare il grilletto che innesca il colpo. Due dita non fanno bum bum, però se stai dentro lo studio di uno psicologo mentre inizia la seduta, e la voce dello psicologo viene puntata contro il paziente, allora, quelle parole fanno parecchio rumore.

Premetto che le domande erano di carattere generale. “Che hai fatto”. “Che hai mangiato”. “Hai scopato”. Che noia. Dopo pochi minuti iniziai a rompermi le palle. Il paziente sembrava di stare sotto interrogatorio dagli agenti della Questura. Ma a chi accis? E le frasi che ripeteva spesso e volentieri lo psicologo erano le seguenti: “TI sta manipolando”. “Tipico dei manipolatori”. “È una manipolatrice”. “Devi fare così, coli”. E man mano che passavano i minuti, s’incazzava pure. “Allora hai capito? Devi fare cosi”. Pensai: questo mo lo picchia pure. Già pensavo di dividerli. Ma per fortuna andò tutto bene. Usciti, l’amico mi chiese: come ti è parso? Cosa dovevo dirgli? Bravo bravo. Che poi pensai a quella parola: manipolazione. E capii che lo psicologo non è altro un manipolatore che vuole la esclusiva. Non faceva altro che ripetere al paziente quello che doveva e non doveva dire e fare. Altro che lavaggio del cervello. Prima di salutare l’amico, gli chiesi: ma mo come ti senti? Confuso mi rispose. E quanto ti è costato? 400 euro mi disse. Beh, pagò circa 5 sedute 400 euro per sentirsi confuso. Se proprio voleva sfogare, non era meglio andarsi a confessare, sfogare da un prete? Almeno con un offerta a piacere se la sarebbe cavata.

Un po come a Palazzo Madama. C’è un vasto gruppo di liceali. Vengono dallo scientifico, il Righi, uno di quelli che a Roma ha una storia importante. È una tipica giornata di educazione politica. Il senso è far vedere agli studenti come funzionano le istituzioni. È educazione civica in diretta. La classe è in prima fila, con il vociare allegro e timido che si confonde con quello dei senatori. Giorgia Meloni sta raccontando quello che avviene in Italia e nel mondo, si parla di conti economici e di strategie internazionali. È un discorso ampio, che si sofferma per qualche minuto sulle elezioni farsa di Putin. Poi si va oltre, a polemiche più vicine, ogni tanto qualcuno dall’opposizione stride i denti o sghignazza provocatoriamente. Il clima è quello solito del confronto tra maggioranza e opposizione. Qualcuno potrebbe dire che è il gioco delle parti. C’è un momento che sembra quasi di pausa, come se tutti volessero prendersi un attimo di respiro, per decantare il flusso delle parole. È qui che un ragazzino di quindici anni punta le dita proprio contro la premier. Fa il gesto della pistola. Non tiene la sinistra sotto il polso della destra. Non c’è alcuna citazione storica. Non evoca la foto che segna gli anni di piombo, quella in via De Amicis a Milano, scattata per strada il 14 maggio 1977. Il gesto assomiglia più ai giochi di guerra dei bambini, magari è più innocente. Viene da dirlo con un carico di speranza. È solo una ragazzata. È per strappare una risata. È l’antica tentazione del Franti. Tutto viene derubricato come un dispetto, al massimo con un ghigno strafottente di chi si fa beffe delle istituzioni. Forse è davvero così. Forse.

Il trambusto comunque è immediato. I commessi intervengono. Una professoressa va a muso duro contro il suo studente. Ignazio La Russa, presidente del Senato, non si risparmia una predica. Non c’è dubbio che un gesto del genere non è mai avvenuto al Senato. Ti sparo. È altrettanto vero che qualche volta i senatori hanno fatto di peggio. Giorgia Meloni dopo è sembrata un po’ sconcertata: “Colpisce che questo gesto sia stato fatto qui il giorno in cui ricorre l’anniversario dell’omicidio di Marco Biagi”.

La scuola fa sapere che ci saranno sanzioni disciplinari. Il ragazzo verrà sospeso. Il rischio è la bocciatura. Si è scusato, con una lettera. È quello che si fa in questi casi, quando si riconosce di aver fatto una cazzata. La Russa chiede clemenza. “Spezzo una lancia affinché non ci sia una eccessiva punizione”. Fabio Rampelli, che al Senato è vicepresidente, ricorda il suo passato al Righi. “È stato il mio liceo. Il luogo dove ho iniziato a fare attività studentesca. Con molta fatica sono sopravvissuto ad aggressioni e intimidazioni. Anche grazie a quella sinistra sapiens che all’interno del liceo mi proteggeva”. Il passato non torna mai con lo stesso vestito, ma in giro c’è qualcosa che ricorda quegli anni.

Lo rivela la stessa preside del Righi. Dice Cinzia Giacomobono che sta cercando di tenere a bada un clima un po’ troppo ideologico, con i confronti non sempre pacifici tra estremisti di destra e di sinistra. Allora è qui il timore, il punto oscuro, la faglia che riapre vecchi fantasmi. Come si è arrivati di nuovo a respirare questo clima? Non ci sono risposte facili. Di certo c’è un maledetto bisogno di nemici. E subito mi torna in mente lo psicologo. Le manipolazioni. C’è la frustrazione, la paura, l’incapacità di guardare al futuro con una dose di serenità che generano odio. Odio virtuale. Odio che per ora non cade a terra. Odio da social e di parole. Odio di gesti. C’è poi qualcosa che è sopravvissuto agli anni Settanta. Il desiderio giovanile della rivoluzione e fino a un certo punto ci sta. Poi c’è l’ideologia. È la cultura di chi in Occidente vuole la morte dell’Occidente. È la cultura di chi teorizza che la ragione sta sempre da una parte, quella giusta, e chi non appartiene è il nemico. È l’educazione alla sola verità e al conflitto. È la solita litania che i maiali insegnano alle pecore nella Fattoria degli animali: quattro gambe buono, due gambe cattivo. La pistola mimata con le mani non spaventa se è un gesto ribelle contro il Palazzo, fa paura se è il segno di un conformismo ideologico tornato sulla scena a dare spettacolo. È il suono del bum bum che fa la differenza, come quelle parole di apertura rivolte al paziente nello studio.

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