Daniele: “La destra taglia le tasse, aumenta gli stipendi e la sinistra non ci sta. E chiama i filosofi della letteratura Augias a spiegarci che in fondo le chiacchiere sono più belle”

By Gaetano Daniele

La destra a guida Giorgia Meloni, passa dalle parole ai fatti: dal taglio delle tasse agli aumenti in busta paga. Ma la sinistra non ci sta. Già. Tutta chiacchiere e distintivo, amante dello straniero, tasse e gay, chiama a raccolta i filosofi della letteratura italiana, Augias. Nulla contro. Anzi. Riesce perfino a farmi sognare. Più che sognare, incubi. E pure ha studiato tanto, non capisco come può tifare, politicamente parlando, Elly Schlein.

Proprio ieri, mentre i sindacati sfilavano in piazza contro i fantasmi, il vippume pontificava dal palco del Concertone e i centri sociali bruciavano bandiere in corteo, il governo si riuniva a Palazzo Chigi e si metteva sotto a lavorare. Apriti cielo. Ma in questo c’è la solita differenza sostanziale: chi non fa un cazzo va in culo a chi lavora: lo hanno accusato di “svilire il Primo maggio”. Non sappiamo se a mandarli ai matti sia stata la scelta di Giorgia Meloni di riunire il Consiglio dei ministri proprio nel giorno della Festa del Lavoro oppure l’impostazione che ha dato al decreto.

Sta di fatto che, ancor prima che venissero rese pubbliche le misure, dei tifosi della patrimoniale, tasse e gay, è partita la solita sequela di insulti. “Disumani” e “arroganti” i più gettonati. “Umiltà, unilta” gridavano i fusi di testa. E pensare che il pacchetto di interventi partorito va ad aiutare soprattutto le fasce più bisognose, quelle che la sinistra un tempo rappresentava ma che da anni ha ormai abdicato a difendere. Il gioco della sinistra è sempre stato quello di impoverire il Paese, per poi difenderlo. Ma oggi lo hanno capito tutti, anche l’operaio di mirafiori. Solo Augias e Floris, no: viva viva la Schlein a colori.

Bisogna essere obiettivi. Le risorse sono quelle che sono. Di soldi da mettere sul piatto non ce ne sono molti. E sin dall’inizio il governo Meloni ha fatto una scelta ben precisa su dove investirli. Lo stesso è accaduto con il decreto Lavoro. L’obiettivo è andare ad alleviare la pressione, non solo quella fiscale, che affama le classi più deboli. È una scelta politica che mai e poi mai ci saremmo aspettati essere osteggiata proprio dalla sinistra. Prendete le tre bandiere cardine del pacchetto licenziato ieri: taglio del cuneo fiscale, assegno di inclusione e contratti a tempo determinato. Come fanno Pd e Cgil a dire no? Roba da spedirli dritti al 41bis. Speriamo solo che non mi legga qualche psicologa che ha più titoli che anni di esperienza, finirebbe col dire che sono ossessivo contro una certa sinistra.. Come dargli torto. Non fosse altro che anche loro devono sbarcare il lunario.

Partiamo dalla prima: la sforbiciata per i lavoratori dipendenti con redditi fino a 25mila euro passa dal 3% al 7% e dal 2% al 6% per chi guadagna fino a 35mila euro. Non stiamo parlando di ricconi, ma nemmeno di classe media. È la fascia più bassa a cui il governo ha deciso di dare una mano tagliando le tasse. La misura, stando alle prime stime dei tecnici del Mef, dovrebbe, infatti, portare circa 100 euro in più al mese nelle buste paga dei lavoratori. Poco? Tanto? Di sicuro meglio che niente. Tranne che per Elly Schlein che nelle scorse ore è tornata a invocare la redistribuzione delle ricchezze puntando il fucile sulle rendite finanziarie e immobiliari degli italiani. Ma che cazzo c’entra? Per Elly, se tu sei un imprenditore di successo, devi dividere i tuoi guadagni con chi sta a casa sul letto a fare un cazzo, aspettando di spuntare ciorta.

Ma veniamo all’assegno di inclusione. I numeri erano impietosi: la bandiera dell’assistenzialismo grillino ha fatto molti più danni che benefici. Qualsiasi report prodotto negli ultimi cinque anni era arrivato a concordare che è stato solo un costo per le casse dello Stato. Ora, però, il governo ha deciso di voltare pagina. Ma non lo fa azzerando tout court gli aiuti di Stato a chi ne ha davvero bisogno. Anche in questo caso è su di loro che intende mettere le risorse a disposizione. Tutti gli altri, per dirlo con parole schiette, devono cercarsi un lavoro. Un principio che non piace a Giuseppe Conte che già si prepara a scendere in piazza. L’avvocato del popolo è ancora lì a difendere il dl Dignità (altra misura grillina a finire nello sciacquone). Senza però fermarsi a riflettere che se siamo ancora qui a parlarne, forse ai Cinque Stelle il miracolo di far sparire la povertà non gli è proprio riuscito. Ovvero l’unica povertà che sono riusciti a far sparire è stata la loro. Basti vedere che fine ha fatto Luigi Di Maio.

Giuseppi non è unico ad avere il nervo scoperto e quindi dedito fare ammuina. Anche Maurizio Landini promette sfracelli. D’altra parte il grande capo della Cgil aveva annunciato la mobilitazione contro il governo ancor prima di aver letto il decreto. Furbo lui. Adesso, dopo anni di panchina, la sinistra è pronta alle barricate. Non che servano a nulla, lo sappiamo tutti, ma fanno colore (rosso) e servono a dare un senso al sindacato che sul lavoro non tocca più palla da parecchi anni. Non a caso un recente sondaggio Ipsos ha rilevato che alle ultime elezioni politiche soltanto il 24% delle persone con redditi medio-bassi ha votato il Partito democratico, il 53% ha votato Fratelli d’Italia. E di più: tra gli operai i dem non vanno oltre l’11% mentre il partito della Meloni sfiora il 35%. Queste percentuali dovrebbero bastare a Schlein, Conte, Landini, Augias e Floris, per capire cosa non va. Ma difficilmente faranno lo sforzo. E pur facendolo, non ci arrivano.

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