Da un anno circa dall’uccisione di Soleimani, ecco le preoccupazioni del nostro contingente in Iraq e in Libano. Gli incursori si guardano le spalle…

A circa un anno dell’uccisione di Soleimani, e gli altri comandanti delle milizie sciite in Iraq, il nostro contingente inizia a porsi delle domande. Anzi. Si scatena un’escalation di punti di domande e preoccupazioni. La Difesa ha innalzato al massimo il livello delle misure di sicurezza nelle basi, ma basta?. I rapporti fra il nostro Paese e la Repubblica islamica sono sempre stati “diciamo” cordiali, e in un momento come questo, ad un anno circa, la tradizionale disponibilità italiana a fare da “ponte” fra culture diverse e i mai “scomparsi….” collegamenti commerciali appaiono un elemento di rassicurazione?. Ma la possibilità che i militari delle nostre Forze armate siano considerati “occidentali” tout court o scambiati per americani, diventando oggetto di rappresaglia, resta concreta. Del resto seguiamo le disposizioni Nato.

L’Italia ha un contingente di carabinieri a Bagdad, con il compito di addestrare la polizia irachena: i militari godono dell’apprezzamento locale e operano in ambienti protetti, con una politica di basso profilo. Un peggioramento grave della situazione potrebbe suggerire un loro rientro anticipato, anche se al momento non si sono registrati grossi problemi.. Diversa è la situazione per il contingente di truppe speciali, schierato fra la capitale e il nord, con una base a Kirkuk. Le condizioni operative della cosiddetta Task Force 44 potrebbero diventare più rischiose dopo l’attacco Usa, per la presenza diffusa in tutto l’Iraq delle milizie sciite, a partire dalle Hashd el Shaabi che Bagdad ha integrato almeno in parte nelle sue Forze Armate. Meno preoccupazioni suscita la presenza degli addestratori a Erbil, nel Kurdistan, e del contingente aeronautico in Kuwait. In tutto sono presenti in Iraq 926 militari italiani, più altri 14 inclusi in missioni europee e Nato.

L’Italia ha il comando e un ruolo fondamentale nella missione internazionale Unifil, che prevede l’interposizione fra le truppe di Israele e gli sciiti libanesi di Hezbollah sulla “linea blu”. Il mandato Onu impone ai militari di intervenire solo se richiesti dalle Forze armate libanesi, il che ha spesso suscitato polemiche ma in questo momento è elemento di garanzia. Il “partito di Dio”, che minaccia pesanti rappresaglie anti-americane, ha sempre espresso gratitudine e vicinanza con l’Italia. Ma la possibilità di un riaccendersi degli scontri fra Israele ed Hezbollah è concreta. In Unifil sono inquadrati 1.250 militari italiani, altri 140 possono essere presenti nell’ambito della missione bilaterale di addestramento Mibil.

L’Italia ha la responsabilità del quadrante Ovest, proprio al confine con l’Iran. Il contingente schierato a Herat ha sempre potuto godere di buoni rapporti con le comunità locali, in grande maggioranza sciite e collegate con la Repubblica islamica. La missione Resolute Support (che ha sostituito l’Isaf al suo esaurimento) prevede assistenza e addestramento, non interventi militari diretti: l’esposizione al rischio è da considerare ridotta. La Rs accoglie un massimo di 800 militari italiani, con base a Herat e un piccolo contingente nel quartier generale di Kabul.

Nella base Al Minhad di Dubai opera un reparto dell’Aeronautica che assiste gli assetti aerei nazionali e alleati, con circa 106 militari. Il lavoro si svolge esclusivamente all’interno della base aerea, e non sembra presentare rischi eccessivi.

Ciò detto bisogna salvaguardare i nostri militari ed i nostri incursori che, pare, iniziano a respirare “un’aria-area” pesante..

Pubblicato da edizioni24

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