Emergono nuovi agghiaccianti dettagli sulla vicenda della piccola Diana, morta la scorsa estate di stenti a 18 mesi perché lasciata sola a casa, senza cibo, dalla madre Alessia Pifferi, la 38enne accusata di omicidio volontario pluriaggravato della figlia.
Nel corso della nuova udienza davanti alla corte d’Assise di Milano presieduta da Ilio Mannucci Pasini per il processo ad Alessia Pifferi parlare il capo della squadra mobile di Milano, Marco Calì.
Il dirigente della Mobile spiega che dopo aver eseguito il fermo della donna, gli investigatori hanno esaminato le immagini delle telecamere presenti nella zona dell’abitazione della Pifferi, in via Parea a Milano e in quella dell’abitazione del compagno, a Leffe in provincia di Bergamo.
E questo ha permesso di ricostruire accuratamente i movimenti della donna, focalizzando in particolare l’attenzione sulla settimana precedente la morte della bambina, tra il 14 e il 20 luglio.
In quei giorni, ha spiegato Calì ai pm Rosaria Stagnaro e Francesco De Tomasi, la Pifferi si spostò diverse volte dalla casa del compagno, dove era arrivata il 14 luglio. E tutte le volte servendosi di taxi privati, spendendo ogni volta circa 300 euro.
Tutto ciò – ha osservato il dirigente della Mobile – ha evidenziato anche un tenore di vita molto superiore alle sue reali possibilità, tant’è che dall’esame del telefonino e delle chat presenti, è emerso che per potersi permettere questo stile di vita, la donna incontrava spesso uomini facendosi pagare.
Gli investigatori hanno scoperto inoltre che in una determinata occasione la donna avrebbe noleggiato una limousine per trascorrere una serata romantica con il compagno, spendendo 536 euro.
Ad una amica avrebbe detto che la limousine serviva per la festa di battesimo della piccola Diana, che si sarebbe dovuta tenere il giorno dopo a pranzo.
In realtà, la mattina successiva la Pifferi chiamò un taxi privato da Leffe diretta a Milano, per poi tornare a Leffe alle 14.
Segno che, ha concluso Calì, non ci fu alcun battesimo.
Ma c’è dell’altro.
“Alessia Pifferi chiedeva spesso soldi in prestito dicendo che le servivano per la sua bambina, ma in realtà – spiegava il capo della squadra Mobile di Milano – li usava per pagarsi le serate, i vestiti e i taxi privati per spostarsi da Milano a Leffe”
Alessia Pifferi e il suo compagno – ha spiegato Calì – si erano conosciuti su piattaforma di incontri online; avevano una relazione da mesi, ma nonostante questo lei continuava a frequentare altri uomini, dai quali si faceva pagare”.
Dall’esame delle chat sul telefonino della donna, gli investigatori hanno scoperto che con alcuni di questi uomini, la Pifferi parlava anche della sua bambina: “Malgrado si conoscessero da poco – ha detto il dirigente della squadra mobile di Milano. – Uno di questi le aveva chiesto di dormire abbracciati nella stessa stanza dov’era la bambina, o anche di poter baciare la bambina. E lei gli aveva risposto: ‘Certo che lo puoi fare”.
In altre chat, ha aggiunto Cali, “la Pifferi chiedeva prestiti di denaro, con la scusa che le servivano per la bambina, quando in realtà servivano per pagarsi le sue serate romantiche”.
In questo contesto, è emersa anche la figura di un vicino di casa della donna con il quale lei “interagiva moltissimo, attraverso un intenso scambio di messaggi. Le conversazioni riguardavano spesso gli incontri sessuali della Pifferi, inclusi i consigli per aumentare il numero di uomini da frequentare dietro compenso per potersi permettere il suo stile di vita dispendioso”.
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