Autonomia: De Luca da buca alla “due giorni” della Schlein. Fumata nera del Pd sotto al Vesuvio

La convocazione del Consiglio regionale con all’ordine del giorno l’assestamento del bilancio è un segnale inequivocabile: l’accesso alla manifestazione indetta da Elly Schlein contro l’autonomia differenziata è severamente proibita. Dal governatore Vincenzo De Luca, ovviamente. Succede a Napoli e rende bene l’idea delle tensioni che fibrillano nel pd in Campania, regione elevata dalla segretaria dem a laboratorio per la sperimentazione del campo largo con il M5S. Tanto è vero che alla due giorni che comincia domani si farà vedere Roberto Fico, cioè il grillino che vuole sfilare la poltrona di governatore a De Luca. Alle elezioni mancano ancora tre anni, ma la politica – si sa – si nutre anche di certezze.

De Luca vorrebbe quella di un terzo mandato, al momento inibito dalla legge. Il governatore è uno di quelli che la Schlein «non l’ha vista arrivare». Infatti, alle primarie si era schierato con Bonaccini, proprio per le garanzie da questi ricevute sulla sua ricandidatura a palazzo Santa Lucia. Ma ha vinto Elly, che ha dichiarato guerra al “cacicco” campano. Il resto è una serie di insulti di sola andata sulla tratta Napoli-Roma e di dispetti, reciproci in questo caso. L’ultimo, appunto, è quello di domani con la manifestazione contro il ddl Calderoli. La qual cosa ha del paradossale, dal momento che tanto lui quanto lei esprimono un giudizio più che negativo sull’autonomia differenziata.

Ma qui il merito c’entra poco. C’entrano, invece (eccome), gli equilibri politici che Pd e M5S vogliono sperimentare in Campania, regione ancora generosa di consensi nei confronti dei 5Stelle. Per De Luca è un dito infilato nell’occhio. Negli anni, infatti, il “cacicco” ha costruito una maggioranza tutta personale basata su un trasversalismo pseudo-civico che ha svuotato i partiti, a partire proprio dal Pd, ridotto a sigla a sua immagine e somiglianza. Apposta la Schlein gliel’ha commissariato spedendo sotto il Vesuvio il bergamasco Antonio Misiani. «Atto di delinquenza politica», ringhiò lui. Era solo l’inizio.

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