“Repubblica” si supera e schiera l’ideologo delle Br Toni Negri contro la Meloni: “Fascista e autoritaria”

Ancora in cattedra, sui giornali, con i suoi occhi spiritati, Toni Negri, il “cattivo maestro” della sinistra italiana degli Anni di Piombo, una quindicina d’anni in carcere, qualcuno da latitante a Parigi, proclami rivoluzionari, lezioni di odio in cattedra all’università, responsabilità morali in tanti omicidi anche se lui oggi dice di “non avere ucciso nessuno”. E’ lui il protagonista di una doppia paginata di intervista su “Repubblica“, a pochi giorni dal suo novantesimo compleanno, da celebrare con una bella chiacchierata sul conflitto sociale, sulla democrazia, perfino sul premier italiano eletto dal nemico, la destra italiana, quella Giorgia Meloni su cui Toni Negri si erge a giudice, da chissà quale pulpito. “Con lei, in Italia, c’è una svolta autoritaria”.

Politologo. attivista. cofondatore e ideologo di Potere operaio (1967-1973) e di Autonomia operaia (1973-1979) ex deputato radicale, veniva definito da Giorgio Bocca il “professore terrorista”, ha rivendicato in libri e interviste la sua miitanza armata:  “Certamente c’è stato il terrorismo di Stato, ma abbiamo anche noi risposto con violenza. Abbiamo sbagliato a farlo? Non credo. La violenza operaia e militante ha costituito un momento di estrema ricchezza”. Nel 1979, già affermato docente universitario di filosofia, venne indagato, arrestato e – dopo quattro anni e mezzo di carcerazione preventiva – processato per «complicità politica e morale» con il gruppo terroristico delle Brigate Rosse , quindi  condannato in via definitiva a 12 anni di carcere, ai quali ne vennero aggiunti successivamente altri negli anni novanta per i reati di associazione sovversiva e concorso morale in rapina scontandone in totale dieci, di cui gli ultimi quattro in semilibertà.

Il mio contributo all’evoluzione della politica italiana? «L’analisi  del movimento operaio, ostruzione di un nuovo soggetto che impronterà gli anni Sessanta-Settanta. Dai Quaderni rossi all’attività politica, fino al 7 aprile. Vent’anni per modellare una prospettiva militante”, racconta con orgoglio a “Repubblica” Toni Negri, che parla anche di Berlusconi e Berlinguer, come fosse un politologo della Bocconi.

È fallita la parte più decente della borghesia, che si è lasciata ammaliare e fagocitare dal Cavaliere, p Caimano che dir si voglia. Il Pci non ha capito la trasformazione del capitalismo. Si è adeguato a un modello di sviluppo industriale fordista, mai avventurandosi nel post-fordismo e mai andando al di là del keynesismo». Poi Negri loda Aldo Moro, che aveva capito che il Pci era in crisi, “giustamente in crisi, una condizione che andava trasformata in fatto politico. Purtroppo sarà il Caf, Andreotti& C., a realizzare l’impresa in termini reazionari”, dice Negri che difende ancora oggi il comunismo, vede oggi l’avanzata inarrestabile della destra, anche in Francia, dove vive: “Se si votasse oggi, Marine Le Pene andrebbe al 70 per cento” mentre in Italia il suo giudizio è lapidario: “Meloni? Il post-fascismo non vuol dire niente. Si tratta di una svolta autoritaria, molto liberale, incastrata nella continuità delle scelte reazionarie del ceto politico italiano…”. Se lo dice lui, il cattivo maestro sconfitto dalla storia…

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