Missione Cia, quella corda tesa tra Washington e Mosca potrebbe spezzarsi in Libia, a due passi dall’Italia

Se da un lato l’anno appena salutato non ha visto alcun positivo sviluppo all’interno del quadro libico, il 2023 invece potrebbe al contrario portare a non poche novità. La prima riguarda l’interessamento diretto degli Stati Uniti al dossier. Washington da anni osserva in lontananza, senza interventi diretti della propria diplomazia. Una situazione che adesso potrebbe cambiare: nelle scorse ore, come sottolineato da Al Arabiya, il direttore della Cia William Burns ha visitato il Paese nordafricano e avrebbe tenuto colloqui sia a Tripoli, con il premier Hamid Ddeibah, Hamid che a Bengasi con il generale Hafar

L’altra importante novità è rappresentata dal dialogo, non ufficiale ma oramai ben conclamato in ambienti diplomatici, tra lo stesso Haftar e le autorità di Tripoli. Il generale, è bene ricordarlo, è l’uomo forte dell’est della Libia. O almeno di quell’insieme di milizie raggruppate sotto la sigla del Libyan National Army (Lna) con il quale controlla la Cirenaica e una parte del Fezzan. Un dialogo latente quindi tra est e ovest potrebbe portare a importanti scenari in previsione futura.

L’arrivo di Burns in Libia rappresenta (quasi) una sorpresa. Washington non è mai sembrata pienamente interessata al dossier libico. Del resto la stessa operazione Nato risultata decisiva nel 2011 per l’uccisione e la caduta di Muammar Gheddafi è stata più che altro a guida anglo-francese. Un affaire dell’Europa quindi, prima ancora che degli Usa. Anche successivamente e in special modo con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca, gli Stati Uniti sono apparsi più defilati. Washington non ha mai organizzato i vertici internazionali dedicati alla Libia, lasciando spesso l’incombenza all’Europa come testimoniato dagli incontri in successione di Parigi, Palermo e Berlino tra il 2018 e il 2020.

Stephanie Williams, fino a pochi mesi fa inviata speciale Onu per la Libia, è sì statunitense ma ha sempre agito in nome delle Nazioni Unite e non ufficialmente degli Stati Uniti. La visita di Burns potrebbe quindi aver segnato un cambio di rotta. La Casa Bianca vuole vederci chiaro e potrebbe tornare protagonista nei meandri dell’intricato dossier. Il fatto poi che Burns abbia incontrato, come indicato dai media arabi, sia Ddeibah che Haftar potrebbe aprire la strada a un tentativo di mediazione tra le parti gestito direttamente dagli Usa. Una novità importante e inedita, almeno nel contesto libico.

Perché proprio adesso gli Usa avrebbero deciso di cambiare passo? Il motivo forse è rintracciabile nell’attivismo russo in Libia. Attivismo che c’è sempre stato, specialmente dal 2015 in poi, anno in cui Mosca ha iniziato ad appoggiare più o meno esplicitamente il generale Haftar. Ma che ora, alla luce degli avvertimenti in Ucraina e dei possibili interessi russi a muoversi nel Mediterraneo, non è ben visto.

Il generale Haftar è anche cittadino Usa, avendo vissuto per molti anni in Virginia durante il periodo di esilio dell’era Gheddafi. Questo non gli ha impedito di diventare uno dei principali riferimenti russi in Libia. Armi, soldi e contractors della Vagner hanno in parte sostenuto gli sforzi bellici di Haftar nel riprendere l’intera Cirenaica. Nell’est della Libia a un certo punto persino i Dinari circolanti risultavano stampati in un istituto della federazione russa.

Non sono mancati momenti di freddezza, se non di vera e propria tensione tra le parti. Haftar non è il migliore degli alleati: spesso il generale decide senza avvisare nessuno, nel 2020 durante un incontro a Mosca ha anzitempo lasciato la capitale russa improvvisamente interrompendo una serie di colloqui programmati dalla diplomazia del Cremlino.

Ad ogni modo, la presenza russa nell’est della Libia è ben ramificata. Di recente, l’uomo forte dell’Lna non ha nascosto la sua vicinanza a Mosca. Sul finire del 2022, i canali comunicativi del suo esercito hanno mostrato dei Mig di fabbricazione russa schierati nella base di Al Jufra. “Regali” del Cremlino messi in bella mostra durante alcune ispezioni da parte di vertici dell’Lna. Tra questi anche i figli di Haftar, Saddam e Khaled. Immagini che hanno causato la reazione dell’Africom, il Comando Usa in Africa, secondo cui gli aerei sono stati girati ad Haftar dalla Russia nella primavera del 2020 in violazione dell’embargo sulle armi in Libia imposto dall’Onu. La presenza di mezzi russi nelle basi controllate da Haftar era uno di quei “segreti” noti per la verità un po’ a tutti. Soltanto che adesso segreti del genere non sono più tollerati, almeno oltreoceano.

Ad ogni modo, se il ruolo di Haftar risulta importante a livello militare, lo è molto di meno sotto il profilo politico. Gli attori principali in tal senso sono i capi dei due governi che si contendono il potere: da un lato Ddeibah, riconosciuto dalle Nazioni Unite, e dall’altro Fathi Bashaga, votato invece dal parlamento stanziato a Tobruck, in Cirenaica. Il primo ha base a Tripoli, il secondo invece nell’est del Paese. Tuttavia è lo stesso Haftar oramai ad aver quasi abbandonato Bashaga. Mentre, al contrario, Ddeibah appare sempre più forte e con un sempre maggiore appoggio non solo nell’ovest del Paese.

Il dialogo tra le forze di Haftar e l’entourage di Ddeibah potrebbe portare a scenari interessanti nell’ottica di una futura riunificazione delle istituzioni libiche. Gli Usa, tornati in prima fila, spingono per elezioni entro l’anno. Una posizione espressa anche dalle Nazioni Unite e dai vari Paesi europei, al momento un po’ alla finestra. La strada per il voto è però alquanto impervia. Mancano accordi su una legge elettorale e anche su una base costituzione e istituzionale. I presidenti dei due parlamenti ufficialmente riconosciuti, quello di Tobruck e il Consiglio di Stato di Tripoli, si parlano da mesi ma senza concreti passi in avanti.

Inoltre, come sottolineato su AgenziaN ova, molto dipenderà dalle elezioni turche del 2023. Ankara è il principale attore politico a Tripoli, con Erdogan legato al governo di Ddeibah da accordi militari e commerciali. La posizione della Turchia è quindi essenziale per capire i futuri orientamenti del Paese nordafricano. L’Italia dal canto suo, pur essendo tra i Paesi al momento alla finestra, può ancora recitare la sua parte. Roma si è confermata infatti negli ultimi anni come primo partner commerciale della Libia, con l’Eni a fare come apripista grazie agli interessi legati a gas e petrolio. Greggio che, per la cronaca, la Libia in questi mesi ha continuato a estrarre regolarmente.

Pubblicato da edizioni24

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