Bisogna capirli. Alle urne non mettono a segno un successo ormai da tempo. E, se riescono ad arrivare al governo, è solo perché s’infilano in un esecutivo tecnico o s’ammucchiano all’interno di una maggioranza posticcia, figlia di accrocchi di Palazzo, non espressa dal voto popolare. Di questi espedienti sono campati per undici anni, dal “golpe bianco” che ha portato Mario Monti a Palazzo Chigi in poi. Senza avere i voti sono riusciti a mandare al governo premier come Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. E sempre senza avere voti si sono aggrappati prima al bis di Giuseppe Conte e dopo al governo Draghi. Un gioco di prestigio dietro l’altro, finché lo scorso settembre il centrodestra a guida Giorgia Meloni ha stroncato l’occupazione rossa: Letta e compagnia cantante sono stati relegati ai banchi dell’opposizione e per il Paese ha avuto inizio un nuovo corso che, nonostante l’incessante strillare delle sirene dem, ha incassato continue conferme negli appuntamenti elettorali successivi. E così a Elly Schlein cosa resta? Aggrapparsi alle sconfitte altrui. Ed eccola brindare alle politiche spagnole perché Vox ha fatto flop, perché i Popolari di Alberto Núñez Feijóo sono andati meno bene di quando avessero pronosticato, perché c’è la possibilità che il premier (uscente) Pedro Sánchez possa formare un nuovo governo. Magra consolazione per l’ex sardina, ma tutto quello che le rimane.
In casa Pd è sempre così. Tifo da stadio per qualunque Paese (occidentale e non) andasse alle urne. Vincono i socialisti, e giù a festeggiare. I democratici conquistano la Casa Bianca, e tutti a stappare il vino buono. Manco fossero loro a portare a casa il risultato. Le elezioni estere vissute come partite in trasferta. Poi, alla prova dei fatti, bastonate sui denti ogni volta che si vota in Italia. E, forse, è anche per questo che si aggrappano a tutto pur di far sentire che a sinistra c’è vita. Anche quando, come è avvenuto in Spagna ieri, la sinistra non vince. E così eccoli, tutti in fila, ad affollare i giornali di dichiarazioni. Stefano Bonaccini in prima linea: “C’è futuro per una sinistra con cultura di governo. Ha perso la destra estrema alleata di Meloni, e pure questa è una buona notizia”. Ordine di scuderia: non una parola sui Popolari. Sentite Alessandra Moretti: “Sanchez ha vinto la sua scommessa tra progresso e regresso. Gli spagnoli non si sono fidati delle sirene nazionaliste e illiberali dei fratellini di Meloni. Hanno scelto l’Europa dei diritti e del futuro”. E poi Pina Picierno: “Una lezione di realtà e pragmatismo per tutti i progressisti europei. Fermare le destre si può con riformismo e responsabilità”. Marco Furfaro si spinge addirittura oltre: “C’era un pericolo di restaurazione e gli elettori spagnoli sono andati a votare in massa per sconfiggerlo”. Doppio, triplo, quadruplo tuffo carpiato. La realtà totalmente riscritta.
La “migliore”, come sempre accade in certe situazioni, è la Schlein. Nella sua narrazione Sanchez diventa “il coraggioso”. Una sorta di cavaliere senza macchia che si immola per salvare la Spagna, anzi l’Europa intera, davanti all’avanzata del nemico fascista, ancor più odiato perché alleato con l’altrettanto odiata Meloni. “Il Partito Socialista riesce a tenere bene e guadagna due seggi dalle ultime elezioni”. L’analisi è fantasiosa. Ma, per quanto tenti di riscrivere la realtà, l’ex sardina non può non ammettere che la maggioranza dei consensi va al Partito popolare. Lo fa a denti stretti. E poi subito puntualizza: “Ma fallisce nel suo progetto di ottenere la maggioranza con la scomoda alleanza coi nazionalisti di Vox visto il loro flop”. Quindi la spericolata lettura finale: “È la dimostrazione che l’onda nera si può fermare quando non si punta ad alimentare le paure ma a risolvere i problemi concreti delle persone”. Soddisfatta lei, soddisfatti tutti. Almeno nel Pd che ancora sognano di riuscire a fermare l’onda nera della Meloni.